La notte in cui crollò la torre – dodicesimo capitolo

Siamo al finale de La notte in cui crollò la torre, una fiction attraverso la quale si raccontano le mutazioni a cui il sociale in genere, e quello che si occupa di psichiatria in particolare, sta andando incontro in questo periodo di crisi. È naturalmente una storia inventata, almeno nei personaggi e nei fatti raccontati ma molto verosimile. È invece ambientata in luoghi conosciuti e familiari per molti di noi: la valle di Porta Giustizia. E una storia che cerca anche di mescolare le vicende di fantasia con la crisi generale di questi anni e con la crisi di Siena in particolare, raccontata in un modo metaforico e surreale.

Capitolo 12 – Sorpresa

Sono ormai passate due settimane dalle ultime note. Il cruccio del furto si sta come attutendo, si comincia a parlare anche di altro. Nessuno ha provato a riscuotere quel maledetto assegno e così tutta quella storia si sta avviando con difficoltà verso il dimenticatoio. Lascia però guasti notevoli nell’atmosfera generale, guasti che sono molto più gravi della perdita economica. Si va, infatti, affermando una sorta di cinismo privo di speranza per cui è diventato quasi normale guardare gli altri con un pizzico di diffidenza, i legami di amicizia che pure prima sembravano forti e presenti si allentano un po’, tutti cercano di fare il minimo perché le cose vadano avanti, ma, come dire senza crederci, senza eccessive speranze.
Paolo si barcamena tra il lavoro e le vicende familiari, Mimma si sta guardando intorno per trovare un lavoro diverso, si sente vicina a un’altra inversione a U, forse la fine del suo interesse per il sociale. Carmen invece non riesce a togliersi dalla testa che con quei soldi persi il bilancio, cui ormai sta lavorando alacremente, sarebbe andato quasi in pareggio. Invece per il secondo anno consecutivo la cooperativa dovrà chiudere in perdita, lieve magari, ma sempre perdita. All’orizzonte si profila oltre ad una difficile assemblea con i soci, un anno di lacrime e sangue. Qualcuno finirà col perdere il lavoro.
Una nota lieta però quella mattina c’è, rientra finalmente Maria e questo fa piacere a tutti.
Maria si è allontanata dalla cooperativa quasi un anno prima per gli ultimi mesi della gravidanza. Poi ha partorito una bella bambina che ha chiamato Pia. Si è spesso mantenuta in contatto con gli altri, ma da casa le cose sono sempre diverse. Naturalmente ha saputo del furto, ma non ha potuto coglierne appieno le conseguenze.
Maria è ligure ed è capitata a Siena per via degli studi universitari. Fisicamente è minuta, bruna con tanti ricci ed anche con dei vivaci occhi scuri. Dopo la laurea in Scienze Sociali è stata attratta dalle problematiche della comunicazione nelle imprese sociali. Ha cominciato così a interessarsi di bilancio sociale, di certificazioni come la SA8000 (la certificazione che attesta l’eticità di un’azienda) e insomma di tutti quegli aspetti che permettono alle piccole aziende o cooperative di farsi conoscere per i loro valori. Quindi in cooperativa è arrivata la prima volta come consulente esterna per curare la redazione del bilancio sociale di qualche anno prima. Poi si è coinvolta così tanto che ha chiesto di rimanere. Rapidamente così è diventata un punto di riferimento per gli svantaggiati e tutte le loro problematiche. Con queste persone difficili riesce quasi sempre ad avere un rapporto sincero e scevro da quel buonismo che spesso, dopo un po’, irrancidisce nel cinismo. Per questo i “ragazzi” la rispettano e a volte la temono anche un po’. A Siena ha anche trovato il compagno con cui ha messo al mondo Pia e il suo inserimento nella città è stato fino a quel punto stabile e sicuro.

Quella mattina Maria arriva piena di buone intenzioni e di voglia di riprendere in mano il suo lavoro. Dopo aver parcheggiato, ha fatto un giro al ristorante e nei prati. Così ha salutato tutti i presenti, rispondendo con piacere alle domande, sempre le stesse, che tutti le fanno: come stai? e la piccolina? e come l’hai chiamata? Gemma più di altri si è informata ed è stata prodiga di consigli su questi primi mesi, lei, che ha tre figli maschi, si ritiene una mamma esperta e se lo può permettere.
In ufficio ha trovato tutti già presenti. Baci e abbracci, ma da intuitiva qual è, ha subito percepito un’aria un po’ pesante. Così ha ripreso possesso della sua scrivania, ha sistemato la foto di Pia, che si è portata da casa, sulla sinistra e ha acceso il computer che ha subito “sputato” fuori una valanga di mail foriere di problemi e cose con cui riprendere contatto. In sua assenza, diversi collegamenti e rapporti si sono un po’ rarefatti e ora c’è da riprendere in mano tante cose. Ma non si sente di immergersi subito nel vero e proprio lavoro. Prima sente di dover riprendere davvero contatto con gli altri, con l’ambiente. Così si alza e va nella stanza di Paolo e Mimma e non può fare a meno di notare che c’è una discreta confusione in giro, anche un po’ di sporcizia, foglie secche, un po’ di fango portato dagli scarponi di chi lavora nell’orto. Rivede quei vecchi fogli che andavano buttati via prima ancora che lei andasse via e che sono ancora lì, la polvere poi è dappertutto. In realtà, per via dell’ambiente in cui l’ufficio è collocato, la situazione è comunemente così, forse rivedendola dopo un po’ di tempo la colpisce di più. Gli altri, infatti, sembrano non farci caso e così quando dopo pochi minuti si trova sola, (Paolo è andato in banca, Mimma ha detto che aveva una visita medica e Carmen è andata al ristorante per controllare la cassa) le viene la voglia di dare una bella pulita.
Forse tutto ciò ha per lei il senso di ricominciare, di farsi coraggio e immaginarsi ancora volentieri in quel posto. Così dà una bella spazzata, rassetta i fogli sulla scrivania di Paolo, butta via quelle vecchie carte che ingombrano e basta. Spolvera la cassaforte al di fuori, poi dopo aver controllato se la sua chiave apre ancora, le viene voglia di rassettarla anche all’interno. Le è parsa, infatti, anche quella in uno stato deplorevole, piena d’inutili scartoffie confuse magari con cose importanti. La cosa migliore è svuotarla e poi rimettere tutto dentro con più criterio. Quando la cassaforte è vuota, decide di spolverarla bene anche dentro. Lavora con impegno e con piacere, fa le cose alla svelta ed è contenta di vederne il risultato.
Nel ripulire il piano inferiore, dove c’è una sorta di anfratto tra la parete posteriore ed il piano stesso, uno spazio non più grande di pochi millimetri, ma insospettabilmente profondo, scorge qualcosa infilato lì dentro. È un pezzetto di carta ripiegato, ne spunta fuori solo un angolino e si deve impegnare per toglierlo da lì. Quando ci riesce, si trova tra le mani un piccolo plico ripiegato e ingiallito. Chissà da quanto tempo questo sta qui? – si chiede. Lo apre e si trova in mano un assegno circolare di 2.123,54 euro. Le ci vuole qualche secondo a raccapezzarsi e a capire che ha in mano proprio quell’assegno, proprio l’oggetto del furto. Ma allora nessuno l’aveva rubato! – si dice sorpresa in silenzio – era stato solo perso!
Forse, – ma certo questo lei non lo può saperlo – quando Giovanni con gesti convulsi l’ha “rimesso” a posto, è volato laggiù e chissà per quanto tempo ci sarebbe rimasto, se non fosse stato per quella sua insolita voglia di rassettare.
Non si tiene dalla voglia di dirlo a tutti e la prima cui lo sventola sotto il naso, è Carmen che rientrata dal ristorante quasi sviene di sorpresa e poi, come una bimba, comincia a ballare di gioia. Così la notizia dilaga, prima Paolo per telefono, poi Mimma che è ancora dal medico, poi in qualche modo tutti, anche Alfredo e Fabio, lo vengono a sapere.
Perciò Gemma quando incontra Giovanni non sa trattenersi dal dirgli con foga: hai visto, avevi torto, qui nessuno ruba!
Giovanni non risponde e mastica amaro, quasi deluso che le sue ipotesi negative siano state smentite. Poi tra sé aggiunge – ma quanto so’ stronzi quelli dell’ufficio! alla fine ne inventerebbero nere per ave’ sempre ragione!

Nessuno pensò, facendo un sano esercizio di autocritica, che quando non si colgono i segni del tempo, quando non si cercano rimedi, quando si presuppone di essere sicuri e forti, quando si pensa in modo dissennato che certe situazioni non cambieranno mai, poi ci si trova, come in quel momento, a valutare i danni.

Adesso chi l’avrebbe detto al mondo che il simbolo di Siena, che la Torre del Mangia, nota dappertutto, era rovinosamente crollata, che non c’era quasi più?

E poi, passato lo sconcerto, ci sarebbe stato qualcuno in grado di rimediare a quella rovina? Di ripartire da quella nottata e ricostruire?

 

Andrea Friscelli

ANDREA FRISCELLI È NATO A SIENA, DOVE HA STUDIATO AL LICEO PICCOLOMINI E SI È POI LAUREATO IN MEDICINA NEL 1974. SPECIALIZZATO IN PSICHIATRIA, HA LAVORATO NEL SERVIZIO PUBBLICO FINO AL 2001, QUANDO SI È DIMESSO PER SEGUIRE A TEMPO PIENO LE VICENDE DELLA COOPERATIVA LA PROPOSTA CHE HA CONTRIBUITO, INSIEME AD ALTRI, A CREARE. HA PUBBLICATO PRESSO L’EDIZIONI IL LECCIO “DI STOFFA BUONA” (NOVEMBRE 2011) E “NELLA CRUNA DI UN AGO” (DICEMBRE 2012).PRESSO BETTI EDITRICE INVECE HA PUBBLICATO “L’ORTO DE’ PECCI E LE SUE STORIE” (SETTEMBRE 2014) E “LO SPLENDORE NELL’ERBA, LA GLORIA NEL FIORE” (DICEMBRE 2015)