La notte in cui crollò la Torre, una fiction attraverso la quale si raccontano le mutazioni a cui il sociale in genere, e quello che si occupa di psichiatria in particolare, sta andando incontro in questo periodo di crisi. Il tentativo dell’autore è quello di dare un piccolo spaccato di come si sia sviluppata ai giorni nostri quella parte di assistenza psichiatrica che si interessa di reinserimento lavorativo e che si è sviluppata soprattutto attraverso la cooperazione sociale. Questo movimento, molto presente anche a Siena, e che ha alle spalle diversi decenni di storia, sta vivendo adesso un momento critico e rischia attualmente di subire mutazioni importanti se non addirittura di finire. È naturalmente una storia inventata, almeno nei personaggi e nei fatti raccontati ma molto verosimile. È invece ambientata in luoghi conosciuti e familiari per molti di noi: la valle di Porta Giustizia. E una storia che cerca anche di mescolare le vicende di fantasia con la crisi generale di questi anni e con la crisi di Siena in particolare, raccontata in un modo metaforico e surreale.
CAPITOLO 8 – Giovanni
Lo smilzo, oppure il milanese, a volte invece “chiodo”, insomma Giovanni è un tipo dai molti soprannomi. Qualcosa di lui stimola questo bisogno di identificarlo meglio, di precisare la sua figura. In effetti, non ha molte radici, la mamma è morta quando lui era adolescente, il padre è sparito e lui certo non l’ha più cercato, di una sorella che abita in Toscana, non lontano da Siena, non sa più nulla da diversi anni.
Lui, figlio di quei palazzoni grigi tutti uguali della periferia milanese, non ha più nulla di quel mondo neppure un’inflessione dialettale. Lassù si è giocato il primo tempo della sua vita, ed è stata una partita persa male. Solitudine, droga, malavita, qualche rapina andata bene, una invece andata male, preso e messo in gattabuia per diversi anni. L’amministrazione carceraria lo trasferisce a Siena, dove comincia a godere di qualche beneficio, esce e trova un lavoretto in Val d’Elsa. Lì cominciano i soprannomi: lo smilzo è facile e fa riferimento al suo aspetto fisico perché è magro allampanato, i calzoni sembrano cadergli ad ogni passo perché non trovano dove rimanere appesi, un cappelletto portato perennemente sulla testa a nasconderne la forma, smilza anche quella. Chi lo chiama il milanese lo conosce un po’ di più, sa qualcosa della sua storia perché come già detto nulla fa pensare a quei natali. Ed infine chiodo, ancora più semplice: un paio di piercing: uno nel naso ed un altro nel labbro lo giustificano.
Nel complesso sembra un adolescente ancora “caldo”, peccato però che abbia superato da un po’ i quaranta.
In cooperativa è arrivato qualche anno fa accompagnato dall’assistente sociale dei servizi carcerari che fece all’allora presidente una proposta “indecente”. Giovanni non aveva più lavoro, l’azienda valdelsana chiudeva e se non trovava un lavoro nel giro di due giorni, sarebbe tornato in carcere stabilmente, quindi la cooperativa era la sua ultima spiaggia. E la cooperativa, che stava vivendo un momento buono in uno slancio di fiducia al limite dell’ingenuità, lo prese così, a scatola chiusa. Il suo percorso all’interno cominciò nel settore della raccolta differenziata e Giovanni apparve affidabile e puntuale. Si pensò che fosse il caso di investire un po’ su di lui, avviandolo al giardinaggio nella speranza che acquisisse abilità e diventasse una spalla valida per il giardiniere capo. Ma alla lunga le speranze si afflosciarono un po’. Da Giovanni non si potevano aspettare iniziative o interessi particolari, troppo assillato dai problemi economici. Si era rapidamente impegolato in una serie di finanziarie al limite dello strozzinaggio, per pagare la prima accendeva la seconda e così via, facendo strampalati conti dove, secondo lui, nel giro di poco, tutto si sarebbe risolto. Divenne rapidamente il maggior richiedente di anticipi sullo stipendio e poi di prestiti che non riusciva mai a rendere. Quando si avvicinava, tutti scappavano per non ricevere la solita richiesta e essere costretti a dirgli ancora no. Questo modo di gestione delle proprie (poche!) sostanze faceva emergere alla fine anche il limite di una testa non proprio lucida. Insomma da un iniziale momento di luna di miele con l’entourage cooperativo durato qualche anno, da quasi altrettanto le cose andavano peggio, nessuno faceva più troppo conto su di lui che per la verità continuava a lavorare con continuità. Il punto di passaggio da una fase all’altra fu un episodio in cui lui e un altro, impegnati nel ritiro di rifiuti ingombranti chiesero indebitamente soldi a una vecchietta, mettendo a rischio la prosecuzione dell’appalto nel momento in cui il figlio della vecchietta giustamente protestò, minacciando di fare casino.
Insomma si sapeva ormai che il suo tallone di Achille erano i soldi. La ciliegina su quella torta sbagliata era stata messa dalla Stradale che lo aveva pizzicato senza assicurazione. Era accaduto appena qualche giorno prima del fatidico lunedì e così sequestro del mezzo e soprattutto multa di quasi ottocento euro per riaverlo.
Quella mattina Giovanni è stanco, ha dormito male assillato tutta la notte dai soliti pensieri. Deve inventarsi qualcosa, intanto chiederà un anticipo a Paolo, gli racconterà la storia della multa, non può non ascoltarlo e intenerirsi un po’. Sente però forte il rischio di ricevere una porta in faccia, ha chiesto troppe volte, lo sa anche lui. Il suo compito stamani è di fare le pulizie al ristorante insieme a Gemma con cui non ha un grande rapporto, ma tanto non sarebbe in grado di fare conversazione con nessuno. Sono quasi le undici, ha già dato una “passata” alle sale superiori e quando vede avvicinarsi al ristorante Mimma, svelto si avvia verso l’ufficio. Non gli va di fare richieste a Paolo con tanto “pubblico”, sa che se lo prende da solo ha maggiore probabilità di essere ascoltato, quando invece ci sono Mimma e soprattutto Carmen la risposta è sicura: non ci sono soldi per anticipi.
Camminando per la strada che dal ristorante va verso l’ufficio cerca di farsi coraggio e di preparare il suo discorsetto, ma quando arriva alle scalette e poi al pianerottolo dell’ufficio vede Paolo che sta telefonando fuori. La porta è aperta, butta un occhio dentro e scorge il tavolo di Paolo. Ci sono soldi e, gli pare, assegni incustoditi. Dentro c’è anche Simone come sempre imbambolato e non se ne cura. Mentre quel tonto esce con la faccia stravolta, lui rapidamente si avvicina cercando quasi di non toccare i piedi per terra. Vede un circolare che porta una cifra enorme, risolverebbe molti dei suoi problemi. Madonna! – esclama dentro di sé dopo averlo preso in mano – è anche “girato”. Con un gesto impulsivo lo ripiega e se lo mette in tasca. Sente che Paolo sta rientrando e forse arriva qualche altro per le scale. Meglio andarsene e non chiedere nulla a nessuno.
Con le prime luci dell’alba il disastro si palesò in tutta la sua gravità. L’intera cornice merlata del lato sinistro e di quello anteriore era crollata e adesso lasciava in piena evidenza le altre profonde crepe che scendevano giù nel fusto della Torre che rischiava di aprirsi come il gambo di un sedano, dando l’impressione di un precario equilibrio e di un prossimo crollo. Alcuni degli stemmi in pietra della balzana giacevano spezzati sul selciato davanti all’entrone ed anche due di quelle lupe di foggia gotica che abbellivano gli angoli, erano distrutte.
Andrea Friscelli
ANDREA FRISCELLI È NATO A SIENA, DOVE HA STUDIATO AL LICEO PICCOLOMINI E SI È POI LAUREATO IN MEDICINA NEL 1974. SPECIALIZZATO IN PSICHIATRIA, HA LAVORATO NEL SERVIZIO PUBBLICO FINO AL 2001, QUANDO SI È DIMESSO PER SEGUIRE A TEMPO PIENO LE VICENDE DELLA COOPERATIVA LA PROPOSTA CHE HA CONTRIBUITO, INSIEME AD ALTRI, A CREARE. HA PUBBLICATO PRESSO L’EDIZIONI IL LECCIO “DI STOFFA BUONA” (NOVEMBRE 2011) E “NELLA CRUNA DI UN AGO” (DICEMBRE 2012).PRESSO BETTI EDITRICE INVECE HA PUBBLICATO “L’ORTO DE’ PECCI E LE SUE STORIE” (SETTEMBRE 2014) E “LO SPLENDORE NELL’ERBA, LA GLORIA NEL FIORE” (DICEMBRE 2015)
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