La notte in cui crollò la Torre, una fiction attraverso la quale si raccontano le mutazioni a cui il sociale in genere, e quello che si occupa di psichiatria in particolare, sta andando incontro in questo periodo di crisi. Il tentativo dell’autore è quello di dare un piccolo spaccato di come si sia sviluppata ai giorni nostri quella parte di assistenza psichiatrica che si interessa di reinserimento lavorativo e che si è sviluppata soprattutto attraverso la cooperazione sociale. Questo movimento, molto presente anche a Siena, e che ha alle spalle diversi decenni di storia, sta vivendo adesso un momento critico e rischia attualmente di subire mutazioni importanti se non addirittura di finire. È naturalmente una storia inventata, almeno nei personaggi e nei fatti raccontati ma molto verosimile. È invece ambientata in luoghi conosciuti e familiari per molti di noi: la valle di Porta Giustizia. E una storia che cerca anche di mescolare le vicende di fantasia con la crisi generale di questi anni e con la crisi di Siena in particolare, raccontata in un modo metaforico e surreale. Un thriller velato.
CAPITOLO 3 – Paolo
La strada di Porta Giustizia, quella dove abbiamo visto camminare con passo vigoroso Mimma, è una strada solo pedonale. Qualche sconsiderato ogni tanto ha provato a transitarvi con altri mezzi, un motorino o peggio con la macchina, ma è fortemente sconsigliato farlo, perché si rovina la magia del luogo. Ma non è l’unica via di accesso alla valle, ne esiste un’altra che è invece transitabile e che consente a chi non ama o non può passeggiare di arrivare all’orto de’ Pecci. È una strada tortuosa che fa un percorso all’interno di quello che era l’ospedale psichiatrico toccandone alcuni dei punti più importanti. Questo anche se adesso quei luoghi hanno ormai un differente utilizzo e, perché no, un differente fascino. L’intero complesso è, infatti, adesso utilizzato da alcune facoltà universitarie ed è sempre pieno di giovani studenti che forse neppure sanno che i luoghi che calcano erano qualcosa di diverso prima. Entrando dall’antico cancello del manicomio, il cosiddetto “cancellone”, varcato il quale spesso il destino di alcuni cambiava in modo definitivo, la strada incontra subito quel piccolo gioiello della farmacia, poi scorre in discesa sul lato destro del grande edificio centrale, costeggiando la parte dove si trova tutt’ora il mulino, splendido esempio di archeologia industriale poco valorizzato. Poi piega a sinistra in una sorta di piazzale e subito dopo a destra scendendo ancora e costeggiando il vecchio reparto Chiarugi a sinistra e a destra il quartiere Conolly, uno dei pochi esempi di panopticon funzionante fino a pochi anni fa e adesso precipitato in un assoluto degrado. La strada curva sulla sinistra e poi controcurva a destra affrontando il punto più ripido, ancora a destra e si approda a quella che fu l’antica lavanderia dell’ospedale, adesso profondamente ristrutturata e sede della facoltà di Fisica. A questo punto pur essendo quasi arrivati la vista non coglie ancora nulla del panorama dell’orto de’ Pecci. Bisogna varcare un cancello di ferro che immette in una strada bianca e proprio sul limitare di questo cancello si è quasi folgorati dalla veduta della Torre e del Palazzo pubblico, come circondato ed “inquadrato” nel verde dei prati.
In questa strada quella stessa mattina transita, con la sua Panda un po’ scassata, Paolo, il presidente della cooperativa. In genere è il primo ad arrivare, ma stamani è in lieve ritardo per problemi familiari, d’altro canto con tre figli avuti nel giro di quattro, cinque anni può capitare. Paolo ha un fisico massiccio, occhi come fessure, ma dall’espressione buona, un viso largo e con un po’ di barba che ormai, come i capelli neri, comincia un po’ a brizzolarsi. Veneto di estrazione cattolica, con i valori di quel cristianesimo sociale che qualche anno fa non erano infrequenti in quelle terre, è giunto a Siena per Roberta, l’amore della sua vita. A vederlo camminare sembra un po’ un orso, in lieve sovrappeso, ha spesso la faccia burbera che serve per svolgere il ruolo di caposquadra con personale non sempre gentile e educato. Ma dopo un po’ tutti quelli che lo conoscono imparano a capire che sotto la scorza del duro c’è un cuore tenero e questo non è sempre un bene. Più giovane ha svolto una discreta carriera tra i boy scout e anche se adesso ha lasciato quell’esperienza ormai da tempo, qualcosa gli è rimasto addosso del bravo ragazzo che non resta insensibile alle disgrazie o alle difficoltà altrui. Così l’esperienza della cooperazione sociale gli è sembrata subito un connubio di varie cose adatte a lui. Arrivato a Siena si è avvicinato alla cooperativa con discrezione, senza pretendere nulla, accettando di fare un periodo di volontariato e poi lentamente si è inserito sempre di più, “scalando” tutte le tappe di una carriera che a 48 anni è culminata nella presidenza. Si fa per dire – culminata – perché in fondo si ritrova a fare quello che faceva anche prima, e cioè cose a volte molto semplici e a volte molto pesanti, solo con molte più responsabilità. Ha però una sorta di tallone d’Achille, se così può essere definito, che a volte lo distoglie dall’impegno con il lavoro ed è rappresentato dai suoi figli e le loro esigenze spesso mutevoli e continue. La moglie, infatti, se capita qualcosa, non può liberarsi come lui che così finisce spesso per svolgere il ruolo di “mammo”. Forse questo risponde non solo a esigenze pratiche ma a valori profondi che gli fanno pensare che l’educazione dei figli, e poi chissà anche degli svantaggiati (ma molto dopo ai precedenti) stia all’apice di tutti i valori. Anche quella mattina ha fatto tardi per quello e pur impegnato nelle faccende cooperativistiche, una parte del suo cervello continua a pensare ad Angelo, il figlio mezzano che pareva non stare bene. L’ha spedito a scuola lo stesso, ma forse teme di averlo esposto a qualche problema.
Nell’ufficio sono arrivati tutti: Paolo, Mimma, Carmen e la giornata di lavoro può decollare. Per la verità in condizioni normali ci sarebbe un’altra ragazza, Maria, ad occupare la quarta scrivania, ma adesso è in maternità e non si sa bene quando deciderà di rientrare dopo il parto che è avvenuto solo qualche settimana prima.
Invece i più attenti, pochi in verità, si erano da tempo resi conto che alcune cose non andavano, si parlava di scarsa manutenzione, della presenza di erbacce sempre più invasive nell’ardito monumento. Si sa, le erbacce sono distruttive, s’insinuano, allargano crepe esistenti, ne creano di nuove. Qualcuno di loro girava con un binocolo in tasca e così, osservando attentamente, trovava sempre maggior conferma alle proprie paure.
Andrea Friscelli