Quello delle bevande che imitano l’esperienza del vino, dei distillati, dei liquori e della birra ma senza alcol è un mercato in forte crescita: si stima che ad oggi il business raggiunga i 7,5 miliardi di euro.
Tra i prodotti, la più diffusa è sicuramente la birra analcolica, conosciuta da molto tempo, ma sono in forte crescita anche le imitazioni di vino, gin e whiskey. Attualmente a capo della classifica dei paesi europei nei quali si consumano questi prodotti ci sono Francia, Spagna e Germania.
A rivelarlo è una ricerca condotta da Aretè, azienda italiana specializzata nella valutazione delle politiche per il settore agroalimentare, per conto della Commissione Europea sul mercato delle bevande “low/no alcohol”, alternative a bassa (o nulla) gradazione degli alcolici tradizionali, come riporta il Sole24ore. Attualmente questo mercato rappresenta solo l’1% delle vendite in assoluto, e costituisce ancora una nicchia, ma la crescita rilevata negli ultimi anni è stata del +18%, e le previsioni di crescita per i prossimi cinque anni attendono un +23%. In Italia il settore delle bevande a contenuto alcolico basso o nullo – a parte la birra, che ha una fetta di consumatori consolidati – è ancora in fase embrionale, ma anche nel Belpaese è destinato a crescere nei prossimi anni. I motivi del successo di questo ambito sono molteplici: si va dalle diete salutiste, alle ragioni di tipo religioso. Tuttavia, la normativa comunitaria fatica ancora ad adeguarsi.
Non esiste infatti nella normativa UE una definizione legale di “bevanda alcolica”, conseguentemente le regolamentazioni variano di paese in paese, anche per i prodotti senza alcol. La possibilità di produrre e commercializzare vini dealcolati è stata introdotta in ambito comunitario recentemente, con la riforma PAC del 2021. Mentre è fatto divieto di etichettare bevande con la dicitura gin, whiskey o vodka, bevande che ne richiamano l’esperienza, ma con basso contenuto alcolico. Bruxelles dovrà intervenire rapidamente per fornire linee guida sulle etichettature e sulle classificazioni, ciò per fare chiarezza sia verso i consumatori che verso gli operatori.
Stefania Tacconi