“Non riesco a immaginare il futuro. Non ho voglia di vivere!”. Se un paziente, come spesso capita svolgendo la professione di Psicologo e Psicoterapeuta, mi riferisce di trovarsi in questa condizione da diverso tempo, probabilmente avrà già compromesso gran parte delle sue attività quotidiane, molte delle relazioni interpersonali che era solito intrattenere e avrà radicalmente modificato i propri pensieri. Il tunnel esistenziale nel quale il paziente in questione è entrato si chiama depressione. Oltre a spiegarvi di che cosa si tratta, desidero parlarvi anche di alcune soluzioni che possono essere prese in considerazione per aiutare le persone a recuperare la voglia di vivere. Quanto dirò, trae spunto da decenni di studi e ricerche elaborate presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, luogo della mia formazione in psicoterapia. Una premessa importante: non possiamo comandare le nostre emozioni, tanto quanto siamo incapaci di governare i nostri pensieri. In altre parole, non si può, né a noi stessi, né tantomeno agli altri, “far venir voglia” di qualcosa. Capiamo bene che sarebbe una contraddizione. La voglia, come ogni altra nostra reazione emotiva, è un istinto, pertanto c’è o non c’è. L’unica cosa che invece posso fare, è agire, fare le cose giuste, prendere le corrette decisioni, anche se non ho voglia. La voglia arriverà. Più in termini operativi che teorici, come insegnatomi dal mio maestro Giorgio Nardone, possiamo considerare il dolore e la rabbia, spesso inespressa, come le due attrici principali dello stato depressivo. Questo sono infatti considerate le due sensazioni di base che prendono il sopravvento in coloro che vivono l’abisso depressivo. La persona depressa tende a rinunciare nei confronti della vita, sentendosi deluso di sé, degli altri o del mondo intero. Tra le principali tentate soluzioni fallimentari al problema, che seppur messe in atto con le migliori intenzioni, tenderanno a mantenere in vita o peggiorare il problema stesso, possiamo osservare il delegare, il pretendere o l’arrendersi.
Tutto questo vissuto sarà accompagnato da continue lamentele o dalla tendenza a chiudersi nel proprio silenzio, vittimizzandosi, sforzandosi di pensare positivo con il risultato, non riuscendoci, di sentirsi ulteriormente in colpa. A questo pensiero basato sul non vedere via d’uscita, talvolta incrementato dagli scarsi risultati delle numerose terapie farmacologiche più volte provate, si aggiungono spesso continue sollecitazioni da parte dei familiari, nel tentativo di “tirare su” il proprio caro. Purtroppo, tutte queste tentate soluzioni, oltre a non risolvere il problema, con il passare del tempo, peggioreranno lo stato della persona che tenderà ad anestetizzarsi sempre più alle emozioni e si ritroverà, impotente, dentro un baratro senza fine. A questo punto, il sistema percettivo reattivo dell’individuo, cioè le sue modalità ridondanti di percezione e reazione nei confronti della realtà, si sarà strutturato proprio attraverso l’infrangersi di precedenti credenze che porteranno la persona stessa a sentirsi impotente, illuso e deluso di sé, degli altri o del mondo. In altre parole, si realizzerà un autoinganno delle aspettative e si cadrà nel circolo vizioso sostanziato dall’illusione, dalla delusione e dalla conseguente depressione. Per tornare a galla, dobbiamo toccare il fondo. Proprio così ma per farlo, servono le corrette indicazioni. In questi casi, non si può ricorrere al fai da te ma diventa essenziale rivolgersi ad uno specialista psicoterapeuta. Da dove partire? Quando proviamo dolore, se vogliamo uscirne, dobbiamo passarci attraverso, da soli. Lo psicoterapeuta, potrà guidare la persona proprio in questo. Per prima cosa, da un punto di vista Strategico, devono essere bloccate le tentate soluzioni fallimentari sia proprie che dei familiari: stop nel richiedere e nel ricercare supporto familiare, stop nell’assecondare la vittimizzazione e nel dare aiuto. Per agevolare ciò, viene generalmente prescritta una congiura del silenzio, seguendo la la quale si potrà parlare di tutto ma non dei “mali” del soggetto depresso. Ristrutturazioni ad hoc e un atteggiamento basato sul non compatire potrà dare i primi scossoni al disturbo. Con persone depresse è bene assumere infatti una posizione one-up, direttiva e talvolta dura, fino al punto di utilizzare linguaggio paradossalmente squalificante. L’utilizzo di figure analogiche come aneddoti, metafore e aforismi, grazie al loro grande potere evocativo-suggestivo, potranno aiutare a ridefinire la rabbia come risorsa. Una manovra di sblocco del disturbo consiste in una tecnica, nota come tecnica del “come peggiorare”. Utilizzando una logica del paradosso, ovvero ottenere qualcosa spingendo nella direzione contraria, si chiede al soggetto di domandarsi che cosa dovrebbe fare o evitare di fare, pensare o non pensare se, paradossalmente e deliberatamente, volesse peggiorare la situazione, anziché migliorarla. Utilizzando questa strategia, nella mente si creata una reazione avversiva verso quelle stesse cose paradossalmente ipotizzate, in altre parole si modifica gli aspetti percettivo reattivi della persona stessa. Ciò conduce a iniziare a fare qualcosa di diverso rispetto a ciò che è stato fatto fino a quel momento. In tutti i casi, dopo aver toccato il fondo ed essere tornati a galla è necessario iniziare a nuotare. Inizialmente ho fatto cenno al fatto che la persona probabilmente avrà compromesso le sue attività e le proprie relazioni. La persona che non ha avuto più voglia di vivere, una volta tornato a galla, deve ricominciare a fare ciò che aveva interrotto.
All’inizio probabilmente non sarà facile. Dobbiamo partire, in questi casi, da quelle più semplici o da quelle che davano più piacere, attraverso altre tecniche costruite su misura per questo disturbo. A questo lavoro si riaccompagnerà la ricostruzione delle relazioni e della vita sociale, fino al punto di affrontare il quotidiano senza più lenti scure deformanti realtà. Ultima considerazione, le parole di Lao Tzu: “Se sei depresso vivi nel passato, se sei ansioso vivi nel futuro, se sei in pace vivi nel presente”.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo e Dottore di Ricerca in Psicologia
Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica