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La preghiera di Provenzano

Provenzano Salvani, il vincitore di Montaperti, il capo della parte ghibellina di Toscana, l’uomo maggiore di Siena, colui che aveva detto che non possiede valore chi non suscita invidia, infine il superbo umiliato, andava verso il Campo della sua città, muovendo dalle case dei Salvani; al suo séguito due soli servi che recavano un piccolo banco e un tappeto ripiegato.

Aveva saputo che dopo la battaglia combattuta in Tagliacozzo un suo amico, amato di cuore, era caduto prigioniero del re Carlo d’Angiò, il quale chiedeva entro un mese diecimila fiorini d’oro per ridargli libertà e non metterlo a morte. Con l’amico posto così sull’orlo della vita, Provenzano aveva abbandonato l’orgoglio del condottiero e si accingeva ad esporre in piazza la propria pena ai suoi concittadini senesi, affinché questi, impietositi, lo soccorressero in denaro per l’ottenimento del riscatto.

Durante il tragitto dalla sua dimora al Campo, Provenzano impallidiva, guatava i bordi della via e la base dei muri delle case, dove l’ombra stagnava, sottraendo il suo sguardo altero e sdegnato a quello dei passanti; la luce che calava attraverso le strette vie tortuose sfiorava solo la cima della sua testa, senza schiarirgli il volto reclinato.

Mentre udiva il suono pesante dei propri passi, lenti ma risoluti, Provenzano ebbe una visione: il selciato sparì, e lì in basso, al livello infimo della strada e della prostrazione del suo animo, scorse un busto di donna dal capo coperto. Dai lembi del velo sbucavano i capelli disciolti, che orlavano e racchiudevano un viso mesto e lievemente piegato verso il collo. Gli occhi erano quasi celati dalle palpebre, come ciechi; la fronte appariva pensosa, la bocca chiusa in una preghiera muta; l’incarnato era terreo, bruno, eppure lambito da un calore di ignota provenienza. La vide per pochi istanti, venuta a lui e poi sparita con la celerità di una preveggenza.

Quando al suo sguardo tornarono a offrirsi solo le selci grigie, Provenzano si arrestò e sollevò la testa; rivolto ai servi, che si erano fermati a loro volta, disse umilmente: “Andiamo!”, quasi sorridendo. Quei due si stupirono di udire un comando del loro signore pronunciato con tanta mitezza.

Giunti nel Campo, a quell’ora popolato da gente numerosa, Provenzano fece posare il banco in un punto bene in vista e sopra distendervi il tappeto; poi congedò i due servi per restare da solo. In piedi, senza avere nulla su cui sedere come spetterebbe a un signore, attendeva che i senesi deponessero liberamente sul tappeto quelle monete che si sarebbero aggiunte alla somma necessaria a comprare la vita di un uomo.

Sul volto di Provenzano intanto si diffondeva la stessa espressione della donna umile, mesta, devota, magnificente, che gli era apparsa durante il cammino.

Andrea Laiolo

 

marco crimi

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