LA RAGAZZA DEL TRENO, USA 2016
Partiamo subito dal presupposto che non abbiamo letto il libro ( The girl on the train , Paula Howkins, best seller USA nel 2015) quindi l’opera del regista Tate Taylor per noi è e rimane solo cinematografica. Non siamo quindi in grado di fare i commenti standard “meglio il libro, meglio il film”. Sarà però che ci piacciono i film gialli, sarà che ci piace molto viaggiare sui treni e sarà che ci piacciono anche le tonalità sensuali e non vaghe che un regista riesce a dare al proprio film (che non è facile…) e allora siamo andati a vedere La ragazza del treno, primo al botteghino da diverse settimane.
Il film, ambientato a New York, è quasi completamento tutto incentrato sulla interpretazione potente di Emily Blunt, Rachel la protagonista.
Donna sola, trentenne, separata dopo aver scoperto che il marito la tradiva, alcolista, senza lavoro e senza figli e che ogni giorno, per mascherare le sue debolezze, fa finta di recarsi al lavoro prendendo il treno. Dal finestrino del treno Rachel osserva le vite familiari delle persone, tra le casette americane in cui prima viveva con il marito Tom (Justin Theroux ), ora risposato e padre di una figlia con un’altra donna, Anna (Rebecca Ferguson). Ma una coppia più di tutte, la coppia perfetta per la famiglia americana perfetta, che ogni mattina fa la bella colazione in veranda, colpisce Rachel. Megan (Haley Bennet) e Scott (Luke Evans) giovani, sorridenti, belli. Rachel si focalizza su di loro ipotizzandovi una felicità, apparente, che lei, donna alla deriva, non è riuscita mai a costruire nella sua vita coniugale. Un giorno, però, sempre dal finestrino del treno, scopre che Megan tradisce il suo compagno e ne rimane profondamente scossa.
Rachel era ormai ossessionata dalla bella normalità di Megan che viveva la storia d’amore che tutte le donne vorrebbero vivere. Forse. Il mattino seguente a quella visione per lei sconvolgente si sveglia con un mal di testa fortissimo, ferite, graffi, lividi ma nessun ricordo di quello che è successo il giorno prima (dovuto anche all’alcol che le provoca frequenti amnesie…). Rachel sarà coinvolta nell’indagine che verrà avviata per la scomparsa di Megan, avvenuta proprio in quelle ore…Dopo alcune settimane viene ritrovato il cadavere di una donna e si tratta di Megan. Vengono alla luce sconcertanti e cupe notizie riguardanti la giovane donna: aveva avuto nella sua prima relazione una bambina che aveva accidentalmente ucciso e sotterrato nel suo giardino. E qui ci fermiamo…
Tutto ciò che lentamente accade in questo giallo (la pellicola non riesce a diventare del tutto avvincente, non si avverte mai una vera tensione da thriller, quasi assenza di suspense …) dichiaratamente psicologico da parte della regia, si concentrerà sulla mente debilitata di Rachel, e non solo sulla sua. La sceneggiatura è imperniata principalmente sui lati oscuri dei rapporti coniugali, rapporti imbevuti di menzogne, dubbi e desideri irrealizzabili. Sembra che il regista ci sussurri lentamente, attraverso la mente instabile di Rachel e con atmosfere anche un po’ torbide, che dietro parvenze di nette normalità, ne esistano altre ben nascoste e insospettabili. Con abusi fisici ed emotivi dipendenze e infedeltà, in questo film c’è però anche un limite notevole: il genere maschile è solo violento, quello femminile è invece legato in maniera tormentata e diversa al concetto di maternità (una giovane madre, una donna uccisa perché incinta e Rachel, una giovane donna senza figli)
Il mistero di Rachel e di ciò che ha visto quella notte si attorciglia tutto su se stesso (ve li ricordate i corridoi di Shining? Ecco, mi ha fatto quell’effetto….) e i problemi d’alcolismo della protagonista la rendono anche una narratrice poco affidabile per noi spettatori. Questo film è cioè poco thriller perché sostanzialmente sovrasta su tutto un’enorme, e purtroppo più che realistica, inquietudine: chiunque di noi potrebbe abbuiare la propria mente e arrivare a dubitare di se stesso, sopravvivendo, come Rachel, sul fondo della solita bottiglia…
Giada Infante