L’8 marzo e i trent’anni dallo scandalo del vino al metanolo. Un accostamento apparentemente ardito. E invece no: grazie a due storie di donne e di vino, Coldiretti Siena riesce ad accostare la festa della donna al caso del vino adulterato.
IN SINTESI Il primo fatto che portò alla ribalta questa pratica accadde il 17 marzo 1986, quando l’ingestione del prodotto modificato causò l’avvelenamento e l’intossicazione di parecchie decine di persone, per la maggior parte residenti in Lombardia, Piemonte e Liguria. Il mondo del vino italiano fu messo in ginocchio.
In trent’anni il reparto della viticoltura è cambiato radicalmente, passando dal concetto di quantità a quello di qualità. Dalla scandalo del metanolo ad oggi i consumi di vino degli italiani si sono praticamente dimezzati passando dai 68 litri per persona all’anno del 1986 agli attuali 37 litri che rappresentano il minimo storico dall’Unità d’Italia nel 1861. Solo negli ultimi cinque anni, in Toscana, i consumi di vino sono abbassati dell’11,8%.
In Italia si beve meno, ma si beve meglio con il vino che si è affermato nel tempo come l’espressione di uno stile di vita “lento” attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi in alternativa agli eccessi. La Toscana, nello scacchiere nazionale, è la sesta regione produttrice di vino con il 57% della produzione a denominazione di origine controllata, con ben 42 etichette, 6 Docg e 36 Doc. Negli ultimi sei mesi l’export di vini toscani è cresciuto del 21% rispetto all’anno prima sfiorando i 650milioni di euro.
Non solo, se trent’anni fa il ‘pianeta vino’ era quasi esclusivamente maschile, adesso viviamo un deciso aumento di donne consumatrici e produttrici. Anche nella provincia senese questo cambiamento è in atto.
LE STORIE Due grandi esempi sono relativi a due aziende associate a Coldiretti gestite da donne – Letizia Cesani e Giovanna Neri – . La prima, a capo dell’azienda di famiglia Cesani, è pure presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano, la più antica d’Italia. La seconda gestisce l’azienda Col di Lamo, produttrice del ‘principe’ dei vini, il Brunello di Montalcino. Con loro abbiamo parlato della viticoltura di trent’anni fa e di quella di oggi e soprattutto del ruolo femminile all’interno di essa all’indomani dello scandalo del metanolo.
Letizia Cesani (Azienda Agricola Cesani e presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano)
Trent’anni fa lo scandalo del metanolo. Cos’è cambiato da allora nel mondo della viticoltura italiana?
«I produttori seri non hanno dovuto cambiare molto, in quanto lo scandalo non li ha mai toccati. Quello che noi continuiamo a sostenere è che il cambiamento c’è stato nei consumatori. Ora c’è una maggiore consapevolezza di quello che viene acquistato. Quello che Coldiretti dice da sempre della filiera corta è il modo migliore per tutelarsi. Il produttore serio ci mette la faccia, ha un nome e un cognome. Adesso sulle etichette di vino c’è scritto il nominativo di chi lo fa. Questo credo che tuteli molto il consumatore e possa evitare il ripetersi di situazioni che 30 anni fa non hanno, di certo, fatto onore al nostro comparto».
I consorzi sono gli organi preposti alla tutela delle vari prodotti vincoli. Ai loro vertici ci sono molte donne?
«Laddove c’è una sensibilità del tessuto sociale alle problematiche femminili, alla meritocrazia più che alle idee di potere, le donne trovano sempre posto. Certo è che si vive in una società, e quindi anche in un settore come il nostro, molto maschilista. E’ necessario, e lo rivendico, vedere attuate tutte una serie di politiche sociali che rendano possibile conciliare il ruolo di dirigente d’azienda, di madre di famiglia con i ruoli istituzionali, come può essere il far parte di un consiglio di amministrazione di un consorzio. Purtroppo le condizioni sociali del “Mondo Italia” non consentono un facile accesso delle donne alla classe dirigente per delle problematiche gestionali quotidiane. Quindi mi auspico che il Governo si faccia carico delle politiche appropriate che ci facilitino la possibilità di arrivarci».
Quale potrebbe essere il ruolo futuro delle donne nel mondo del vino?
«Credo che abbiano una sensibilità diversa nei confronti della società civile, quindi anche del mondo del vino. Mi spiego meglio, penso che le donne diano una maggiore importanza ai valori. Questi prescindono dai dati economici, ma hanno a che vedere con un’etica della produzione molto diversa. Secondo me le donne hanno questa etica, che comporta una particolare attenzione al territorio, maggiore cura dei rapporti con i lavoratori, con i consumatori, la trasparenza, la tracciabilità. Penso che, qualora riescano ad arrivare ai vertici di qualunque attività, di qualunque organismo associativo, sapranno mettere in atto degli indirizzi politici che vadano in questa direzione».
Gianna Neri (Azienda Col di Lamo)
Qual è, se c’è, la differenza tra l’approccio maschile e quello femminile alla vigna?
«Penso che non ci sia. Ognuno dà al vino l’impronta che vuole, a prescindere che sia un uomo o una donna. C’è chi sceglie di essere biologico, chi convenzionale, eccetera. In fondo una vigna è una
vigna».
C’è una via femminile al comando di un’azienda?
«Le donne sono ‘fresche’ nei ruoli di comando. Noi, forse, siamo più meticolose rispetto agli uomini. Abbiamo una determinazione maggiore».
Come mai, secondo lei, si vedono sempre più donne, in ruoli diversi, nella viticoltura?
«Prima era tradizione lasciare l’azienda agricola al maschio. Ora essendoci la parità anche le donne sono arrivate a condurre le tenute. Visto che i maschi lavorano da sempre nell’agricoltura forse la loro “visione” sulla cosa si è esaurita. Noi, essendoci introdotte in questo mondo da poco, abbiamo idee nuove sulle confezioni e sul vino. E’ un mestiere molto vicino alla natura, è un po’ come essere madri. Ogni anno generiamo qualcosa, come se avessimo tanti figli».
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