L’omicidio di Giulia Cecchettin da parte di Filippo Turetta è un evento che ha sconvolto profondamente l’opinione pubblica e ha sollevato molte domande sulla natura della violenza, sulla psicologia dell’aggressore e sulle dinamiche che portano a tali tragici eventi. La narrativa del “raptus” di violenza viene spesso utilizzata per spiegare atti criminali improvvisi e apparentemente inspiegabili. Tuttavia, come sostengono molti esperti psicologi, criminologi e penalisti, ciò che viene descritto come raptus è quasi sempre l’ultimo anello di una catena di violenza o di emozioni negative preesistenti. In questo articolo, senza alcuna intenzione di volermi sostituire agli illustri periti incaricati di far luce su questa triste vicenda, tenterò di esaminare il caso di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, analizzando le possibili dinamiche psicologiche e sociali dietro questo tragico fatto, evidenziando che il concetto di raptus non è che una semplificazione eccessiva e talvolta fuorviante.
Nello stesso periodo in cui il ventenne Sinner si apprestava a diventare il tennista numero uno al mondo, altri due ventenni hanno, dolorosamente, riempito le pagine di cronaca nera. Giulia Cecchettin, una giovane donna brillante negli studi, è stata brutalmente uccisa da Filippo Turetta, suo ex fidanzato, non altrettanto brillante. L’evento, pur essendo stato simile a tanti altri odiosi reati catalogati come femminicidi, ha scosso l’intera nazione e ha portato alla luce una serie di interrogativi sulla natura della relazione tra i due ventenni, sui segnali premonitori di violenza e sulla responsabilità sociale nel prevenire tali tragedie.
L’omicidio si è verificato in un contesto di escalation di violenza che, come spesso accade, ha avuto radici profonde e complesse. Turetta, in un momento di estrema tensione, ha agito con violenza letale contro Giulia, portando a termine un atto che molti hanno descritto come un raptus di follia. Tuttavia, una più attenta analisi dei fatti e delle dinamiche psicologiche coinvolte rivela una realtà ben diversa.
Il concetto di raptus implica un’improvvisa perdita di controllo, un’esplosione di violenza che emerge senza alcun preavviso. Tuttavia, studi psicologici e criminologici indicano che tali episodi sono raramente “fulmini a ciel sereno”. Simon, autore nel 2013 del testo I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno evidenzia che ciò che spesso viene descritto come raptus è in realtà il risultato finale di un accumulo di rabbia, frustrazione, dolore o di un disturbo psichico non riconosciuto.
Nel caso di Giulia Cecchettin, è probabile che Turetta abbia mostrato segnali premonitori di violenza che, sebbene possano essere stati sottili o trascurati, erano presenti. La violenza domestica e relazionale spesso segue un modello di escalation, dove piccoli atti di controllo e abuso possono progredire in comportamenti più gravi. Questa progressione può includere minacce, ricatti emotivi, stalking, isolamento della vittima, e atti di violenza fisica e psicologica.
Un altro aspetto critico in questi reati, spesso trascurato o confuso, è il ruolo della rabbia e del risentimento, come ben sottolineato dal mio collega strategico Alessandro Bartoletti in Pensieri brutti e cattivi del 2019. Calandoci nel nostro caso, Turetta potrebbe aver accumulato un profondo risentimento verso Giulia, forse per motivi di controllo, gelosia, senso in inferiorità o sentimenti di rifiuto. Queste emozioni possono covare a lungo, creando una tensione tale da far esplodere atti di violenza. Come ricorda il mio maestro Giorgio Nardone, le emozioni sono la nostra tigre interna, se non impariamo ad educarla, ci sbranerà. L’idea che il raptus sia una risposta improvvisa e incontrollabile non tiene conto del fatto che tali atti sono spesso il risultato di un lungo processo di deterioramento emotivo.
In alcuni casi, il dolore e la disperazione possono giocare un ruolo significativo. Se Turetta stava vivendo un profondo disagio emotivo, potrebbe aver visto l’omicidio come una soluzione estrema ai suoi problemi. Questo non giustifica in alcun modo le sue azioni, ma fornisce un contesto per comprendere le dinamiche psicologiche alla base dell’atto violento.
Non si può inoltre escludere il ruolo dei disturbi psichici. Turetta potrebbe aver sofferto di un disturbo mentale non diagnosticato che ha contribuito al suo comportamento violento. Disturbi come il disturbo borderline di personalità, il disturbo narcisistico o la depressione maggiore possono influenzare il modo in cui un individuo percepisce la realtà, gestisce le emozioni e le relazioni interpersonali, aumentando il rischio di comportamenti violenti.
Uno dei punti cruciali è la necessità di riconoscere e intervenire sui segnali di allarme. Spesso, amici, familiari e colleghi possono notare cambiamenti nel comportamento di una persona che indicano un aumento del rischio di violenza. Questi segnali possono includere isolamento sociale, esplosioni di rabbia, comportamenti possessivi o controllanti, come inviare 1000 messaggi al giorno, e cambiamenti improvvisi nell’umore. Questi segnali non vanno ne’ banalizzati, ne’ tantomeno normalizzati.
La prevenzione della violenza richiede un approccio multi-disciplinare che coinvolga educazione, supporto psicologico e interventi legali. È essenziale promuovere una cultura di rispetto e comunicazione all’interno delle relazioni, insegnare la gestione delle emozioni e fornire risorse per chi è a rischio di comportamento violento.
Le forze dell’ordine e il sistema giudiziario devono essere attrezzati per riconoscere e rispondere efficacemente ai casi di violenza domestica. Ciò include la formazione continua per riconoscere i segnali di pericolo e la creazione di protocolli di intervento che tutelino le vittime e curino gli autori della violenza.
L’omicidio di Giulia Cecchettin per mano di Filippo Turetta è un tragico esempio di come la violenza possa emergere da dinamiche complesse e spesso trascurate. L’idea del raptus come esplosione improvvisa di violenza, alla luce di quanto argomentato, è una chiara semplificazione che non rende giustizia alla complessità delle emozioni e dei comportamenti umani. Comprendere queste dinamiche è essenziale per prevenire futuri episodi di violenza e per costruire una società in cui la sicurezza e il rispetto reciproco siano al centro delle relazioni umane. Solo attraverso l’educazione, la prevenzione e l’intervento tempestivo possiamo sperare di evitare tragedie come quella di Giulia.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo, Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma
www.jacopogrisolaghi.com
IG @dr.jacopo.grisolaghi
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