Della morte avevamo parlato tante volte. Della morte e del morire. Nel suo studio stipato di libri in via del Porrione. Sorseggiando una birra in Piazza del Campo. Fumando e ascoltando buona musica fino a notte fonda in compagnia di amici a casa mia. Tanti gli autori che entrambi amavamo che avevano fatto di questo tema uno dei motivi ricorrenti della loro opera, della loro riflessione: Norbert Elias ed Eugenio Borgna, Rainer Maria Rilke e Vladimir Jankélévitch. Il destino del critico, in fondo, è anche questo, a meno che non scelga di vivere appiattito sulla contemporaneità, dove tutto trascorre e tutto si brucia rapidamente: quello di mantenere vivo il dialogo con chi non c’è più. Ma forse che il compito dello scrittore, specie se proveniente da quella parte di mondo che Mario Specchio conosceva benissimo, la Mitteleuropa, è diverso da quello del critico? Forse che lo scrittore – Rilke, Kafka, Celan – non intrattiene pure lui, come ha osservato Maurice Blanchot, un colloquio costante con la morte? E in un mondo nel quale anche l’incontro con l’altro-da-noi scade sovente nell’indifferenza e nella vacuità originate dalla routine e dalla fretta (svegliarsi, fare, produrre), forse il vero spirito di rivolta, privilegio e missione del critico “disorganico” e dello scrittore autentico, non consiste nel dialogare con i morti e con la morte? E Mario Specchio è stato entrambe le cose, è stato un grande critico, è stato un grande scrittore, nel significato più alto che queste parole possiedono per me. I versi che seguono sono tratti dall’ultima opera in versi, “Passione di Maria”, pubblicata dopo la tragica scomparsa di quella che rimane una delle voci più belle e più libere di Siena. Il volume è impreziosito da quattordici splendide tavole a colori dell’artista calabrese Ernesto Piccolo.
“Non mi hai mai detto madre
solo donna
e mi è mancata, sai, quella parola dolce come nessun’altra.
Lo so che tu volevi dire al mondo che una donna è una donna
e non soltanto
la scheggia di una costola di Adamo. Ma mi è mancata
Figlio
mi è mancata
più di quanto tu possa immaginare quella parola
dolce
come nessun’altra”.
a cura di Francesco Ricci
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