Michele Vittori, Scatti di versi

Le dieci poesie incluse nell’ultima raccolta di versi di Michele Vittori e le dieci fotografie in bianco e nero realizzate da Yasmina Nunziata – che devono essere pensate sia come fonte d’ispirazione delle prime sia come opera artistica autonoma e autosufficiente – ci ricordano l’attualità della lezione degli antichi, per i quali l’ingenium (l’ispirazione), se non è accompagnato dall’ars (tecnica, abilità pratica), è poca cosa. E lo fanno, per così dire, attraverso una argomentazione “a contrario”, nel senso che la perfetta riuscita di “Scatti di versi”, che coniuga felicemente “ingenium” e “ars”, dimostra che quando viene meno la compresenza di questi due elementi, il risultato non può essere che monco, mediocre. In particolare, per quanto attiene alle dieci poesie, mi preme evidenziare almeno tre aspetti stilistici capaci di gettare luce anche sulla componente tematica del libro:

1) l’adozione dello stile nominale

2) il prevalere, pur all’interno di una sintassi che resta eminentemente paratattica, della subordinata relativa

3) il frequente impiego del modo imperativo.

Lo stile nominale, vale a dire la successione di soli sostantivi e aggettivi (“Tristezza pensante, / brivido da curare con baci, / carezze, pazienza, calore”) genera nel lettore l’impressione di trovarsi dinanzi a un folto di oggetti e di sentimenti, senza che sia dato ravvisarvi una gerarchia interna. L’impiego della frase relativa in misura nettamente superiore a quella di qualunque altro tipo di subordinata (oggettiva, temporale, finale) tradisce la volontà dell’io lirico di cogliere (e di istituire) collegamenti tra le componenti del periodo, ovvero, grammaticalmente parlando, tra il nome antecedente e la proposizione introdotta dal pronome “che”, “il quale”, “chi” (“Riconosci un lamento che è stato il tuo”). Infine, il ricorso al modo imperativo, il modo del comando (“Canta, cantate, ancora, cullatemi e datevi piacere”), costituisce una importante testimonianza del volontarismo etico del soggetto, e dunque della fiducia, nonostante l’evidenza razionale dell’orrore e della miseria della realtà (in primis sociale), nella libertà e nella volontà individuale.

Ora, se teniamo presenti questi tre elementi, appare chiaro che “Scatti di versi” non vuole essere (soltanto) un libro di denuncia dell’assenza di senso e della scomparsa di ogni legame d’affetto e di solidarietà, che contraddistinguono il singolo non meno che la collettività, assenza e scomparsa che pure tramano di sé i versi (“città morta”, “strazio di corpo”, “frenesia di isolamento”,  “apparenza di affetto”, “città ostile”, “città distratta”, “zero contatto”, “mancanza di vicinanza e conforto”, “stuprata l’amicizia”). Al contrario, la raccolta si presenta come un punto di resistenza dinanzi a ogni tentazione di resa all’esistente, di stanca accettazione di una condizione di vita intollerabile per chi, come Michele Vittori, come me, ha fatto esperienza di un mondo più povero, più modesto, sicuramente meno comodo, ma anche più compassionevole e più serio. Non è certo un caso se la prima lirica si apre su un reiterato invito a vivere (“Respira e vivi. / Respira e vivi. / Respira e sorridi”) e l’ultima si chiude sulla parola “vita” (“di chi ha pestato una vita”). Perché più forte dell’amara constatazione del caos al cui interno l’uomo contemporaneo si viene a trovare – non c’è più un valore centrale e fondante, non c’è più una prospettiva dall’alto, non c’è più un soggetto unitario – è il richiamo della vita, è la forza della vita, che sa curare le ferite che lei stessa infligge e che non rinuncia, purché sappiamo accoglierla e custodirla dentro di noi, a fare incontrare gli uomini, a unirli, a legarli. Nessuno nasce per la solitudine e per l’infelicità. Il testo che segue, intitolato “Piera”, è il testo di apertura della raccolta, ottimamente prefata da Arianna Falchi.                

Respira e vivi.

Respira e vivi.

Respira e sorridi.

Taglia il presente con raggi di luce

Netti sulla penombra di un vuoto stancante.

Batti il passo che chiede il tuo corpo,

arriva in fondo e mai arriverai,

Stanca destinazione, strana destinazione.

Credi a chi piange, ascolta

Riconosci il lamento che è stato il tuo,

È passato! È finito!

Bestemmia lacrime, stringi i pugni,

vivi e sorridi, ti sai fragile,

ti senti forte, costante nel tempo, è la tua vita.

Mai sola, mai vittima,

Accendi una dignità di spessore, incisa sulla pelle,

orgoglio e precisione di sonno, di sogno, di riposo.

Vivi, respira, non volare lontana da te.

Michele Vittori, Scatti di versi, extempora, primamedia 2025 

a cura di Francesco Ricci