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Mps-Mediobanca, Giorgetti: “Da Ministero nessuna ingerenza o pressione”

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Giancarlo Giorgetti prende la parola alla Camera per chiudere il perimetro politico della vicenda Monte dei Paschi–Mediobanca, finita sotto la lente della Procura di Milano.

Il messaggio è netto: il Tesoro non ha guidato né condizionato la scalata, e le decisioni che hanno portato all’Offerta pubblica di acquisto e scambio su Mediobanca sono state assunte in autonomia dagli organi societari della banca senese.

L’operazione, chiarisce il ministro dell’Economia, è stata “autonomamente deliberata” dal consiglio di amministrazione di Mps; il Mef, in quanto azionista, “ha preso atto delle scelte della società e del loro razionale”. Nel ricostruire il contesto, Giorgetti rivendica una linea di condotta che separa il ruolo dello Stato azionista da quello del management. Le interlocuzioni con il sistema istituzionale e creditizio, spiega, si sono limitate a indicare la necessità di assetti in grado di garantire stabilità e futuro alla banca, “senza alcun tipo di ingerenza o pressione nei confronti degli attori e dei titolari dei diritti di voto”. È la stessa impostazione che il ministro richiama da tempo nel dibattito parlamentare: rafforzare il sistema bancario nazionale senza sostituirsi alle scelte delle imprese. Il quadro che accompagna l’Ops su Mediobanca è quello di una banca profondamente diversa da quella salvata dallo Stato nel 2016.

L’intervento pubblico da 5,4 miliardi, ricorda Giorgetti, aveva l’obiettivo di proteggere risparmiatori e stabilità finanziaria. La svolta arriva con la ricapitalizzazione del 2022, sottoscritta dal Tesoro per 1,6 miliardi e dal mercato per 900 milioni, nel rispetto del principio del ‘pari passu’, che consente l’avvio del nuovo piano industriale e il ritorno alla redditività. In questo passaggio il ministro ribadisce la fiducia nell’amministratore delegato Luigi Lovaglio, nominato dal precedente governo, sottolineando che ha guidato il risanamento percependo “un compenso esponenzialmente inferiore” rispetto ai vertici di istituti comparabili.

La sequenza delle dismissioni pubbliche si innesta su questa traiettoria di rilancio. Il miglioramento dei risultati e della solidità patrimoniale accompagna la crescita del titolo, che dai minimi del 2022 arriva a 5,52 euro nel novembre 2024 e supera gli 8 euro nel dicembre 2025. Un andamento che consente al Tesoro di uscire dal controllo in un contesto di valore crescente, con introiti complessivi pari a circa 2,6 miliardi a fronte di un investimento di circa 1,6 miliardi nel 2022, mantenendo una quota residua oggi valutabile in circa 1,2 miliardi.

È su questo terreno che Giorgetti affronta uno dei punti più sensibili dell’inchiesta: le modalità di vendita e la scelta di Banca Akros come bookrunner nell’operazione del 13 novembre 2024. La selezione, spiega, è avvenuta al termine di una procedura competitiva, perché l’offerta presentata garantiva “le migliori condizioni per la dismissione delle quote permettendo un maggior introito per le casse dello Stato”, con un back stop price di 5,513 euro per azione, superiore a quello degli altri candidati. Un passaggio accompagnato dalla precisazione che, secondo quanto comunicato dal bookrunner, “nessun investitore che ha presentato offerte in seno alla procedura è stato escluso” e che nessuna delle operazioni ha comportato l’acquisizione di una partecipazione di controllo. Quando si arriva all’Ops su Mediobanca, il perimetro viene ulteriormente ristretto.

L’operazione, sottolinea Giorgetti, è stata realizzata senza esborso di risorse pubbliche e in una fase in cui il Tesoro aveva già perso il controllo di Mps ed erano venuti meno i vincoli più stringenti imposti dalla Commissione europea. L’aumento di capitale a servizio dell’offerta è stato approvato dall’assemblea del 17 aprile con oltre l’80 per cento dei voti favorevoli, mentre le adesioni hanno raggiunto l’86,3 per cento del capitale di Mediobanca. Sia questa operazione sia l’offerta di Mediobanca su Banca Generali sono state notificate ai sensi della normativa sul golden power, ma il governo ha deciso di non esercitare i poteri speciali, non ravvisando rischi per la sicurezza economica nazionale.

Il discorso si chiude su un punto che segna il confine definitivo del ruolo pubblico. Ogni decisione sulla quota residua del Tesoro, pari al 4,86 per cento, sarà assunta in un’ottica strategica e non di mera cassa. Ma, soprattutto, in coerenza con gli impegni assunti a livello europeo, il Ministero dell’Economia “non presenterà alcuna lista in occasione del rinnovo del consiglio di amministrazione”. Un chiarimento che separa il perimetro dell’azione pubblica dalle scelte di governance della banca.