Non sono un critico d’arte, ed in verità neppure un esperto o un semplice appassionato di arte contemporanea. E dunque mi astengo assolutamente da ogni commento sul merito.
Ma sono contento che il Museo d’Inverno di Siena abbia appena inaugurato la sua seconda stagione, ospitando fino al 25 marzo Luca Pancrazzi con la sua mostra “Io.Noi.Voi…” e con la Project Room (realizzata in realtà aumentata e visitabile con dispositivo mobile mediante l’app Layar) curata dall’artista greco Miltos Manetas che, per questa occasione, propone un’opera dell’artista colombiano Juan Sebastián Peláez.
Perché il progetto di questo Museo d’Inverno, voluto dalla Contrada della Lupa e affidato alla direzione di due artisti, Francesco Carone ed Eugenia Vanni, ha trovato una originale collocazione sopra la Fonte Nuova (Via Pian d’Ovile 29), in quello che lo stesso sito http://www.museodinverno.com/ definisce “un primo ed unico esempio di convivenza fra la dimensione internazionale dell’arte contemporanea e quella fortemente legata alla tradizione ed alla territorialità, caratteristica propria delle Contrade di Siena”. E credo che l’attività valorizzi la fonte monumentale e che la collocazione renda unico il museo.
E perché rappresenta un momento “stabile”, continuativo, del lavoro sull’arte contemporanea iniziata un anno e mezzo fa con le iniziative di Siena capitale italiana della cultura 2015. Il Museo d’Inverno (visitabile su prenotazione ai numeri 348 7438845 e 333 3082236) ha scelto questa formula accattivante di invitare artisti italiani e stranieri che – attingendo alle proprie collezioni private – scelgono e presentano opere di altri artisti, dei quali sono amici personali, o hanno collaborato oppure ammirano, realizzando loro stessi un allestimento capace di trasmettere questa loro particolare relazione, evidentemente fondamentale nel loro percorso artistico e personale.
Nel caso della mostra attuale, ad esempio, “Io.Noi.Voi…” è il titolo che Luca Pancrazzi ha dato ad un’opera di Andrea Marescalchi, perché “forse non aveva un titolo. E’ un’opera che Bobo mi diede nel suo studio a Firenze, negli anni ’90, l’ho chiamata così, ed ho pensato che potesse divenire il fulcro di questa mostra. E’ il mio personale omaggio”.
Una vivacità culturale che porto volentieri alla vostra attenzione.
Roberto Guiggiani