Giovedì 16 maggio, alle ore 18, presso il Giardino Segreto di via Camollia, Filomena Cataldo dialogherà con Nicoletta Verna, l’autrice del romanzo “I giorni di Vetro”. Un romanzo, questo, che sta riscuotendo non soltanto il favore del pubblico – e sono certo che saranno in molti a partecipare alla presentazione senese – ma anche il consenso di larga parte della critica. Che poi la critica ritrovi nel libro ciò che essa è desiderosa di trovare più che ciò che realmente c’è, è un altro discorso. Vero è che i paragoni e gli accostamenti che sono stati istituiti (con Renata Viganò, con Elsa Morante, con Beppe Fenoglio) già sono indicativi della qualità del romanzo, così come i sottogeneri chiamati in causa (il romanzo storico, il romanzo epico) suggeriscono bene la ricchezza della costruzione dell’opera, alla cui base, oltretutto, vi è un lavoro di documentazione sulle fonti serissimo. I venti anni di storia d’Italia (1924-1945) che sono ripercorsi attraverso il racconto della protagonista, Redenta, nata a Castrocaro proprio il giorno del delitto Matteotti, da un lato sono colti nella loro specificità, nella loro irripetibilità: si tratta di quel ventennio, di quel regime, di quella propaganda politica, di quella violenza, di quell’idea della donna, del diverso, della cultura. Dall’altro, però, sono oggetto anche di uno sguardo metastorico, il quale va alla ricerca di certe costanti che ispirano la condotta dell’uomo al di là dell’epoca, al di là dei luoghi. Così accade che le violenze che il Vetro, un gerarca fascista, infligge a Redenta, che ha sposato, e alle altre donne, mescolando sadismo e pulsioni autodistruttive (oltre che distruttive), ci parlano di quelle che continuano ad essere perpetrate sia in famiglia che al di fuori della famiglia in questo inizio di terzo millennio. Insomma, il passato nel romanzo di Nicoletta Verna possiede come materia una sua autosufficienza e una sua compiutezza, che non escludono, però, la possibilità di significativi rimandi alla contemporaneità. Non è forse proprio questa l’essenza di ogni romanzo storico che si rispetti? Il passo che segue costituisce l’incipit di “I giorni di Vetro”.
“Era molto meglio prima, quando io non c’ero e non c’era nessuno dei miei fratelli, né i vivi né i morti. C’era solo mia madre che si rivoltava sul materasso del camerino e urlava: – Ammazzatemi, osta dla Madona, – e la Fanfina rispondeva: – Sta’ zèta, ché chiami il diavolo, – e andò avanti così per tre giorni e tre notti, finché mia madre lanciò un grido feroce e venne fuori Goffredo, il primo dei miei fratelli morti. Quando gli diedero lo schiaffo per farlo piangere lui non pianse, allora la Fafina scossò la testa e disse: – Èsegno che a Dio Cristo lassù gli bisognava un angiolino. Ne vedeva tanti, di bambini nati morti, e quello era uguale a tutti gli altri, anche se era sua nipote. Mia madre lo guardò avvilita- – Perché? – chiese. – Perché hai mangiato troppo cocomero. Il cocomero fa acqua nello stomaco e il bambino s’è annegato, il purino – “.
Nicoletta Verna, I giorni di Vetro, Einaudi, Torino 2024
a cura Francesco Ricci