Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
Udii lo scivolo del giacchetto sui gradini, di scatto mi voltai. Mi avvicinai, corsi su per la scalinata a prendere mio fratello sotto le ascelle e rialzarlo da terra. Luca è l’unico bambino che quando cade non usa il pianto per attirare l’attenzione e fare della caduta il centro che attiri su di lui ogni sguardo.
“Duccio, io bene” disse mentre lo sollevavo su, controllavo preoccupato che i palmi rosa non fossero sbucciati e me lo caricavo sulle spalle. Scesi qualche gradino per riportarlo in giardino ma il suo corpicino sfuggiva alle mie braccia, era tutto proteso verso l’alto: voleva raggiungere la sommità della scala, il mistero dietro alla porta a cui il suo incedere traballante tendeva.
Lo accontentai, salimmo fino in cima. Davanti a noi, un panorama mozzafiato: disegni reali di pareti di mattoni a vista e intonato colorato a destra; sotto, le fonti, circondate da un alone verde e rigoglioso. I miei occhi percorrevano i profili tutti differenti e sfalsati delle abitazioni, mentre i piccoli pugnetti di Luca si scatenavano contro il legno massiccio del portone.
“Luca, falla finita, non possiamo disturbare” gli dissi, per evitare che continuasse e che una spina nelle mani mettesse alla prova la sua decisione valorosa di non far cadere lacrime.
“E pecché, chi abita qui?” Le domande dei bambini hanno il magico potere di farti riflettere su tutto ciò che, fino ad allora, per vivere, proseguire con i paraocchi in una direzione, vedere la tua strada e nient’altro, hai dato per scontato.
Mi presi un attimo di tempo, raschiando la gola come fa chi sta per dire qualcosa che conosce bene, e mi guardai attorno in cerca di una risposta. Chi avrebbe mai potuto abitare, lì?
“Un pittore, Luca, ci abita un pittore. Si è rifugiato qui tanti anni fa, dopo esser scappato a una guerra grazie ai cunicoli dei bottini, le gallerie sotterranee dove la città di Siena prendeva l’acqua per bere… Adesso è in salvo, è qui per fare ciò che più ama, dipingere, ma non vuole essere disturbato. Le persone si arrabbiano se le interrompi quando sono concentrate”.
Gli occhi nocciola, grandi e svegli di Luca, fissarono a lungo la porta che prima cercava di abbattere. Smise di bussare. Nacque in lui il silenzio del pensiero accompagnato da una postura infantile di riservatezza, quella che si ha verso gli uomini destinati a grandi cose. “Allora andiamo”, disse serio e mi porse la mano.
Ci accostammo alle fonti, da cui l’acqua scrosciava forte. Gli archi a sesto acuto imponenti si chiudevano sopra di noi e le mie dita tenevano stretto il suo piccolo pugno. L’apertura degli archi invitava i raggi di luce a entrare e specchiarsi nelle due vasche. La cavità sembrava catturare i raggi di sole, che per ribellarsi disegnavano trame fluttuanti sul soffitto a volta. Noi ce ne stavamo in silenzio, occhi in su, spettatori dei giochi di potere naturali che avvengono fra sole e acqua. Luca si sporse a toccare i cerchi concentrici che il getto d’acqua crea sulla superficie, mi schizzò. Rise dei miei occhiali punterellati di gocce.
“Allora anche tu, quando gioco, non devi più disturbarmi. Sennò mi arrabbio”.
Mi fece sorridere e il petto mi si strinse come un pugno nella tenerezza dell’amore che si può provare per la saggezza ingenua dei più piccoli. Va bene, Luca, hai ragione. Torniamo a casa. Tu giochi, e io prometto che non ti disturbo. Mi metterò magari a scrivere.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci
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