Lottare insieme e spingersi fino alle zone colpite dal terremoto. L’associazione Autismo Siena-Piccolo Principe si racconta, anche attraverso un gesto di solidarietà
Aiutare i ragazzi autistici terremotati, perché nessuno resti più solo. È l’iniziativa dell’Associazione autismo Siena-Piccolo Principe, quella di regalare le donazioni raccolte nel 2016 ad alcune famiglie dell’Umbria, dopo le terribili scosse dello scorso agosto. I ragazzi del senese, che combattono ogni giorno con una patologia ancora poco riconosciuta, seppur tanto bisognosi, hanno deciso di aiutare i loro amici terremotati. “Ci siamo sentiti vicini – spiega il presidente Alberto Negri – a queste famiglie più di chiunque altro. Noi lo sappiamo bene cosa vuol dire vivere con questa sofferenza nel cuore. Sono persone fragili, ma bisognose di attenzioni e di cure, che hanno bisogno di essere aiutate per integrarsi nella società come tutti gli altri. Una persona con autismo può comunicare in maniera bizzarra, con gridolini e frasi fuori contesto. Saltellare, dondolare e gesticolare sono metodi che spesso usano per comunicare o per tranquillizzarsi. Troppo spesso questa malattia viene ignorata e le famiglie tendono a isolarsi, a nascondersi. È comprensibile. Ma bisogna aiutarle, uscire allo scoperto e combattere per i diritti dei nostri figli e di tutti i ragazzi autistici come loro”.
Qual è stato il vostro aiuto per i ragazzi terremotati?
Questo 2016 il nostro gruppo si è interrogato e ha deciso di rinunciare alle donazioni raccolte nel mese di novembre e quelle della cena di beneficenza per devolverli a sostegno delle famiglie di ragazzi autistici nelle zone così pesantemente colpite. Abbiamo pensato alle famiglie, per agevolarle e dar loro la visibilità che meritano, affinché chi di dovere possa aiutarli oggi ed in futuro. Insieme alle amministrazioni locali umbre abbiamo individuato sei famiglie e abbiamo deciso di donare ciascuna un assegno di tremila euro. Due famiglie sono di Amatrice, altre due di Cascia, una di Norcia e una di Accumoli. Oggi, 12 gennaio, saremo a Posta, nel comune di Rieti, per consegnare noi stessi questa piccola donazione. Un piccolo segno che ci piace immaginare come un piccolo regalo dei nostri ragazzi ai loro amici più sfortunati.
Com’è nata la vostra associazione?
L’associazione Autismo Siena-Piccolo Principe è nata nel 2011 da un gruppetto di genitori che, come me e mia moglie, si sono ritrovati soli e spauriti ad affrontare le dure sfide della disabilità di un figlio autistico. Così abbiamo pensato di unirci in un’associazione. Prima di formarci come gruppo, tanti come noi si sentivano isolati. Molti genitori li abbiamo conosciuti accompagnando i nostri figli nel centro Asl o alle Volte Alte, gli unici locali dove si praticano terapie riabilitative. Io ho due figli autistici, due gemelli, ormai diciottenni. Dalla frequentazione del centro Asl ci siamo uniti per formare l’associazione che porta lo stesso nome, Piccolo Principe. Negli anni, siamo riusciti a portare all’attenzione della comunità un problema, purtroppo, ancora poco affrontato o forse non abbastanza. Ma che esiste e dobbiamo esserne coscienti. In questo modo ci sentiamo dalla parte dei nostri figli, per chiedere il rispetto dei diritti delle persone autistiche. Perché per ciascuno di noi il nostro bambino è un piccolo principe.
Cosa significa crescere un bambino autistico?
Nessuno capisce cosa provi, come ti senti. Solo tu sai quanto è grave e cosa dovrai affrontare, lottando ogni giorno per aiutarlo a diventare autosufficiente, inserirlo in un mondo che ancora non ha ben chiara una disabilità così diffusa ma poco capita. La prima reazione è quella di nascondersi, sentirsi quasi incompresi. Poi reagisci, come abbiamo fatto noi dell’associazione. Scegli di uscire dal buio, per affrontare una grande battaglia. La disabilità sempre più spesso viene respinta dalla società, ecco perché bisogna uscire allo scoperto, diffondere la cultura dell’autismo e farlo conoscere. Solo così si abbattono i pregiudizi. Un figlio disabile ti cambia la vita, ma è pur sempre un figlio e io li considero i nostri principi. Le famiglie hanno bisogno di essere comprese, sostenute, per non farti cadere il mondo addosso.
Cosa fa la vostra associazione per diffondere la conoscenza dell’autismo?
Tanta sensibilizzazione, nelle scuole e con i genitori. Per due anni, insieme ad Asl e Provveditorato abbiamo fatto un corso con incontri per docenti e collaboratori e ricominceremo da febbraio. Grazie poi ad una borsa di studio, gli studenti delle scuole di I e II grado hanno avuto la possibilità di partecipare ad un concorso per raccontare le loro esperienze con un compagno disabile, sotto il nome “Il mio amico speciale”. Prevedeva la creazione di un elaborato (componimento scritto, disegno o altra forma creativa) che esprimesse il pensiero e i sentimenti personali o collettivi degli studenti rispetto all’esperienza scolastica passata o attuale con una compagna o compagno autistico. Ci siamo accorti di come ogni anno viene fuori l’importanza di questo tema, di quanto aiuta a far riflettere sulla diversità. Ci sono stati elaborati, negli anni, che sembravano riflettere un vero tentativo di integrazione tra tutti gli alunni, che nonostante la difficoltà nel comprendere la compagna speciale si sforzavano di considerare ciò che più le piace e ciò che invece non le piace. La diversità può essere vissuta come un pregio e non come un difetto, se c’è integrazione. Inizialmente c’è indifferenza, abbiamo a che fare con bambini e adolescenti, non è facile accettare una persona con disabilità negli anni della scuola. Ma l’indifferenza si trasforma pian piano in consapevolezza, cercando di vedere la realtà con gli occhi del proprio compagno, cominciando a considerarlo una persona e non un disabile.L’aiuto concreto dei pari sviluppa in lui capacità comunicative e d’interazione che gli stessi alunni, molto spesso, non si aspettavano.
Un’altra cosa che facciamo sono le cene di beneficenza come quella di Natale, ormai un vero e proprio rituale. Siamo sempre tantissimi, famiglie, amici, ma anche cittadini e istituzioni. Ogni anno un gruppo di grandi chef toscani si mettono a disposizione gratuitamente e cucinano per noi e per i nostri ospiti. È una cena-evento che organizziamo per raccogliere fondi necessari alla creazione di una residenza permanente di accoglienza ed inserimento sociale di ragazzi autistici nel territorio senese. La finalità è quella di creare una struttura che serva agli adulti di domani. Cosa accadrà infatti quando i ragazzi di oggi non avranno più l’assistenza dei genitori e delle famiglie? La nostra è la ricerca di un luogo adatto in cui ragazzi e adulti possano star bene, fare attività ricreative e sportive, cominciare esperienze lavorative, in cui le famiglie possano partecipare ed essere accolte per brevi periodi. Sono tutti impegni che si prendono i genitori, come quella di attrezzare una sede dove poterci riunire. Lo facciamo da soli ma con tanto sacrificio. La nostra forza sono loro, i nostri angeli invisibili. Ci crediamo davvero e sappiamo che se non lo facciamo noi non ci pensa nessuno. È dura ma ce la faremo.
Quindi ci sono buone prospettive per questo 2017…
Finalmente stiamo ottenendo la sede alle Volte Alte, in attesa del contratto da firmare. Sarà operativa, dopo tanti sforzi e già stiamo pensando a renderla agibile. Quest’anno saremo ancora più forti e combattivi: vogliamo organizzare tante attività, più di una al mese, per dare sollievo alle famiglie e far socializzare i ragazzi. Stiamo aiutando una cooperativa ad aprire un centro di terapia comportamentale Aba, nella nostra sede, molto utile all’autismo. Sono tre ragazze, con una formazione specifica per questa terapia, indispensabile per aiutare i nostri ragazzi a socializzare e sviluppare le capacità comunicative di cui hanno bisogno. In cantiere ci sono tante cose, anche per il 2 aprile, la giornata mondiale dell’autismo. Sicuramente saremo in piazza, aiutati da altre associazioni, cercando di sensibilizzare sempre più comuni. Stiamo già collaborando con molti della provincia (Monteriggioni, Montepulciano, San Gimignano) e da quest’anno integreremo anche Castelnuovo, Poggibonsi, Chiusi e Montalcino. Sono paesi dove abbiamo già contatti e che vorremmo sensibilizzare per una collaborazione su tutto il territorio.
Cosa significherebbe avere una residenza per questi ragazzi?
Attualmente c’è un centro Asl per i minori, anche se piccolo, ma non per adulti. Non sono seguiti da nessuno e non hanno la possibilità di socializzare o di inserimento nel lavoro. Sono invisibili, rimangono soli e abbandonati, pensano di non essere capiti, molto spesso rimangono a casa e sono i genitori stessi a volte a non chiedere più aiuto, arrendendosi alla malattia. Così va a finire che gli adulti rimangono soli in casa o vengono messi in strutture inadeguate. Non si potrà combattere questa malattia, ma sicuramente vanno aiutati a vivere una vita più dignitosa. E quello di cui hanno più bisogno è di stare in ambienti dove socializzare e di integrarsi con la società che li circonda. Per un ragazzo autistico la routine è una sicurezza, ma hanno bisogno di fare esperienze diverse, non solo di vivere la giornata strutturata, con gli appuntamenti scanditi. Hanno bisogno di uscire e stare a contatto con il mondo e le persone, ma tante famiglie non riescono a farlo. Per questo c’è bisogno di aumentare la loro autonomia. Dobbiamo sempre invogliarli e gratificarli, così com’è strutturato il metodo Aba. Devono in qualche modo riuscire a star bene con gli altri e fare amicizia. Un ragazzo che non capisce le convenzioni sociali fa fatica ad approcciarsi con le altre persone e a comprendere le situazioni, ecco perché non possono capire cosa diciamo e cosa vogliamo dargli. L’autismo è molto variegato, ci sono quelli che capiscono ma non riescono, quelli che invece capiscono ma non riescono a vivere una vita consona. Ma abituandoli ad uscire e ad essere sempre più partecipi, questi ragazzi possono fare tantissimi progressi. Anche stando in un appartamento assistito. Intanto bisogna credere in loro, noi genitori per primi, cosa che invece si tende spesso a non fare. La residenza, così come la nostra sede, saranno importanti per creare laboratori, attività, per farli stare insieme e per farci forza anche noi genitori. Dobbiamo fargli capire che non sono soli.
Come rispondono la città e le amministrazioni a questo problema?
Le amministrazioni locali si rendono conto che ci sono famiglie in difficoltà. Sarebbe bello che si prendessero cura dell’altro e sensibilizzassero il territorio per rendere la loro vita migliore. Vorremmo sviluppare attività ludiche, trekking, attività sportive, avvicinarsi agli animali e coltivare l’orto, anche per fargli imparare un mestiere. Cerchiamo di spingere la Regione e i comuni per affrontare quanto prima questo grande problema e attivare il prima possibile questo centro per adulti che possa accoglierli e dove ci sia personale qualificato e formato per l’autismo. Così che per i ‘grandi’ sia sempre una residenza adeguata dove non siano reclusi o imbottiti di farmaci, come fin’ora si fa.
Che percentuale ha l’autismo nel nostro territorio e come viene visto?
La ‘Sindrome dello spettro autistico’ è la disabilità più diffusa al mondo, ma non se ne parla se non saltuariamente e chi ne soffre di solito è a casa con i genitori, solo, emarginato, dimenticato. Gli adulti autistici, da quando compiendo 18 anni concludono la scuola dell’obbligo, non hanno più alcun sostegno, nessuna occasione di socializzazione, nessuna possibilità di continuare esperienze formative o che li inseriscano nel mondo del lavoro. Nulla. Nemmeno di vedono in giro. Le famiglie, lasciate sole nella propria disperazione, smettono presto anche di farli uscire di casa, costringendosi ad una vita da reclusi, allontanandosi da tutto e tutti. Dell’autismo, purtroppo, non si conoscono bene le cause. Nel territorio, per le esperienze che abbiamo avuto, alcuni cercavano aiuto, altri si erano scoraggiati, perché si trova ben poca comprensione. Da quando c’è l’associazione, le cose però sono migliorate: nel 2015 c’erano più di 100 minori affetti da autismo, che avrebbero avuto bisogno di una terapia di almeno 20 ore settimanali. La nostra associazione e le Asl, che aiutano davvero tanto, hanno fatto si che la situazione migliorasse. Abbiamo notato che negli anni si ottiene sempre più comprensione, fortunatamente. La caratteristica più comune dei ragazzi autistici è la difficoltà a relazionarsi, a comunicare. Altri conducono una vita migliore, ma tantissimi altri non riesco a vivere una vita sociale, perché le famiglie non sono capaci di aiutare e perché la cultura sanitaria non si è preoccupata abbastanza di questo problema. Anche a livello mondiale è come se fosse il problema più marginale, nonostante invece sia la disabilità più diffusa al mondo. Purtroppo sono indifesi e invisibili. Perché le disabilità psichiche tendiamo a nasconderle e perché la medicina li ha sempre poco considerati.
Michela Piccini