Papa Leone XIV, l’affetto delle monache agostiniane di Lecceto. Suor Sara Maria: “Saprà guidare la Chiesa nell’unità”

Questa mattina il primo incontro di Papa Leone XIV è stato con i rappresentanti dei media internazionali ed è stato un forte appello a una comunicazione di pace, capace di disarmare parole e immagini per costruire giustizia e verità. Intanto prosegue, da parte degli stessi media, la ricerca spasmodica di testimonianze e interviste a rappresentanti dell’ordine agostiniano, ovunque. Proprio in terra di Siena si trova il cosiddetto “covo di santità”: l’antichissimo eremo di Lecceto, primo insediamento degli agostiniani. Qui, conducendo una vita in preghiera e cura della casa, vivono 11 monache agostiniane di clausura: la più giovane ha 31 anni ed è entrata in convento lo scorso 25 marzo, la più anziana di anni ne ha 93. A raccontare questo scorcio di vita in mezzo al bosco e l’amicizia con il nuovo Papa è suor Sara Maria Cozzolongo, priora delle monache.

“Quando vengono citati gli ordini mendicanti, si nominano i Francescani, i Domenicani, i Carmelitani – spiega – . Gli Agostiniani non vengono mai citati. Eppure nasciamo nello stesso periodo, con la stessa struttura: siamo paritetici, ma piccoli, pochi. Le famiglie religiose non hanno tutte la stessa storia. La nostra è più marginale, se vogliamo. Però il carisma di Agostino è un carisma molto ricco. Tant’è vero che la regola di Agostino è molto diffusa nella Chiesa, anche oltre l’Ordine Agostiniano. I Domenicani hanno la nostra regola, i Serviti  pure, e molte altre famiglie religiose seguono la regola di Sant’Agostino. E penso che, in questo momento storico particolare, lo Spirito Santo abbia scelto un Papa agostiniano, perché il carisma di Agostino è un carisma di unità e di comunione. Abbiamo tanto bisogno di questo: nella Chiesa, ma anche nel mondo diviso e in guerra. Agostino ha lottato tutta la vita per l’unità della Chiesa, sotto un solo pastore, contro gli scismi, contro i movimenti centrifughi. E per l’unità del genere umano, direi, nel senso che la Chiesa abbraccia tutti”.

Appena si entra nell’Eremo di Lecceto si nota, tra le mura antichissime, una bandiera del Vaticano…
“Ah, sì! Siamo “papaline”, perché Agostino era un amante della Chiesa. Agostino, in uno dei suoi tantissimi scritti dice: Non crederei al Vangelo, se non me lo dicesse la Chiesa. Questo per dire l’importanza della mediazione della Sposa di Cristo per la fede dei credenti. E noi, sulle orme di Agostino, professiamo una grande devozione alla Chiesa. Ora, per l’appunto, abbiamo anche un Papa agostiniano”.

Il momento dell’elezione. Ovviamente sapevate che il cardinale, proprio come il nostro Cardinale Luigi, sarebbe stato in conclave. Ma quante chance avreste dato a Prevost?
“Padre Prevost, secondo me, ne aveva diverse. Intanto, per il suo curriculum personale: un’esperienza molto ampia, dalla missione alla guida di un ordine religioso diffuso in tutto il mondo. È vero che è un ordine piccolo, ma siamo presenti ovunque. Poi ha curato la pastorale di una diocesi e, infine, ha partecipato al governo della Chiesa come prefetto del dicastero dei Vescovi. Un’esperienza davvero ampia e ricca. Anche, ragionando umanamente, direi che aveva una certa visibilità, perché il ruolo che ricopriva lo rendeva piuttosto conosciuto. Così, a lume di naso, si poteva pensare: sì, ci sono delle possibilità. Poi, penso che tutte noi abbiamo sentito attrazione, desiderio, speranza. Abbiamo nutrito la speranza che potesse essere un Papa agostiniano, il primo nella storia. Però non aspettavamo il soddisfacimento di un desiderio personale. Aspettavamo che la Chiesa facesse discernimento con l’opera dello Spirito Santo. E quindi ci siamo mantenute davvero aperte a tutto. Ma quando abbiamo sentito “Robertus”, c’è stata tanta emozione. Ognuna l’ha espressa a suo modo, ma l’emozione è stata grande. Abbiamo quindi deciso di esporre la bandiera del Vaticano”.

La sera stessa dell’elezione vi è arrivato un messaggio dal Cardinale Lojudice…
“Sì. Mi ha scritto dicendo che il Papa vi saluta e vi pensa liete e in preghiera. Una bella emozione”

Un gesto molto affettuoso…
“Sì, ci ha commosso”.

Ci diceva prima che Papa Leone XIV è molto legato a voi e all’Eremo di Lecceto. Quante volte è stato qui?

“Tante. Onestamente non le ho contate, ma forse una decina di volte, anche di più. È venuto per diversi motivi, in varie occasioni. Disse subito: “Io sono figlio di Agostino”. Lui è innamorato dell’Ordine, e quindi inevitabilmente anche dei fratelli e delle sorelle della famiglia agostiniana. Questo luogo, in particolare, ha un significato storico per tutto l’Ordine. Lecceto è un luogo agostiniano fin dalla sua fondazione, fin dal 1200. Ne è stato, in un certo senso, la culla: l’inizio di alcune riforme, un luogo di santità, un motore di spiritualità per l’intero Ordine, che è molto legato a Lecceto. Negli anni Settanta abbiamo raccolto questa eredità e cerchiamo di portarla avanti nel migliore dei modi, anche con qualche difficoltà… a causa della grande struttura. Stiamo cercando di fare dei lavori, ma è un problema. Padre Prevost è venuto qui come Generale per assistere la nostra comunità, ma anche perché questo è un luogo significativo dell’Ordine”.

Qual è il pensiero che rivolgete al Pontefice?

“Un augurio: quello di lasciarsi fare dallo Spirito. È anche il desiderio che lui stesso ha espresso durante l’omelia nella Messa “Pro Ecclesia” con i cardinali: il desiderio di scomparire per far posto a Cristo. E questo accade solo con una grande docilità allo Spirito”.

La Chiesa oggi e il mondo sono pronti ad accogliere in toto un percorso forte come quello che già mostra Leone XIV e in qualche modo già tracciato da Papa Francesco?

“Faccio fatica a rispondere a una domanda posta in questi termini. Io credo che, volenti o nolenti, si cammina sempre avanti. “Avanti” non significa che non si cada in un fosso, “avanti” può voler dire tante cose, ma indietro non si torna. Non è possibile. Anche volendolo con tutte le forze, si può solo andare avanti. Abbiamo soltanto il futuro. Il passato rimane dietro. Davanti a noi c’è la promessa della presenza di Cristo, che è qui ed è anche davanti a noi. C’è sempre la scelta dell’uomo tra il bene e il male. Oggi, domani, dopodomani: ogni giorno a ciascuno è chiesto di scegliere. In questo cammino tra scelte, lo Spirito ci assiste suggerendoci quella giusta. Rimane però la nostra libertà. Questo vale per i credenti e per i non credenti: che uno lo sappia o no, è sempre di fronte a una scelta, e sempre di fronte all’invito di Dio a scegliere per il bene”.

È stato un momento, quello del conclave e dell’elezione di questo Papa, altamente mediatico. Direi ‘pop’. E cioè che ha coinvolto anche il popolo, esteso anche a chi non crede. Lei crede che tutta questa attenzione verso l’elezione del Papa, questa emozione che c’è intorno, sia anche la paura umana del momento che stiamo vivendo? Quindi il bisogno di appoggiarsi a qualcuno, affidarsi a qualcuno, e in qualche modo riavvicinarsi anche alla fede e alla Chiesa?

“Onestamente penso di sì. Credo che l’evento dell’elezione di un Papa abbia un fascino anche molto, diciamo, folkloristico, che crea tanto interesse, anche per me. Tutto questo apparato legato a una tradizione millenaria, a una storia, a usi e simboli… è tutto ricco di significato, ma anche molto affascinante per chi non riesce a coglierne subito il senso profondo. Credo che, oltre a questo interesse più superficiale, ci sia un clima generale di paura, di smarrimento. E la speranza che, a partire dalla fede, si possano attingere—se non delle certezze—almeno delle rassicurazioni”

 

Leone XIV ha già dato un’impronta: ha parlato di pace, di sinodalità, di attenzione al sociale. Quindi, secondo lei, c’è un’impronta al Pontificato?

“Di sicuro, quello che ha detto affacciandosi al balcone erano cose per lui rilevanti. E anche se non saranno in toto un programma definito per la guida della Chiesa, sono comunque punti fermi di ciò che gli sta a cuore nella fede. Quello che io forse riconosco, a partire dal carisma agostiniano, è—al di là della parola “sinodalità”, che oggi è molto usata—proprio l’attenzione carismatica di Agostino alla comunione e all’unità. Fateci caso: quante volte, in quel breve intervento dalla loggia di San Pietro, ha detto la parola insieme”.

Insieme, unità, pace…

“Agostino è il Dottore dell’unità. Il centro del carisma agostiniano è proprio l’unità e la comunione. Sicuramente lui ha fatto riferimento anche all’eredità lasciata da Papa Francesco: la cura per i poveri, il cammino sinodale che Francesco ha aperto—tutte cose molto importanti. Però, quello che a me ha colpito—e probabilmente è una lettura parziale, da una prospettiva personale—è proprio questo tema dell’unità e della comunione. Questo camminare insieme, che è sì il tema del sinodo, ma è prima ancora la tensione che attraversa otto secoli di storia dell’ordine agostiniano”.

Poi c’è anche l’aspetto missionario. In continuità con Papa Francesco..

“Ma anche con la sua storia personale: lui, da giovane seminarista, ha sentito subito la chiamata alla missione. Di fatto, credo che abbia vissuto gran parte della sua vita missionaria in America Latina. Poi è stato chiamato ad altri incarichi, ma la missione fa parte delle sue corde, della sua sensibilità. È un’ulteriore apertura che, in lui, la Chiesa vivrà verso la gente”.

Un altro aspetto da non trascurare: a differenza dei suoi predecessori, che su quel balcone hanno un po’ improvvisato, lui si è preso degli appunti, per centellinare le parole giuste e dare dei significati precisi..

Sì, è una persona precisa. Ho visto solo adesso, non riusciamo a seguire tutto in tempo reale perché abbiamo anche altro da portare avanti: la preghiera per la Chiesa, per il Papa, e i servizi della casa. Ho visto adesso lo stemma papale: c’è il giglio in campo blu—segno di Maria—e lo stemma dell’ordine agostiniano, il cuore trafitto dall’amore di Cristo e il libro della Scrittura, che è centrale nell’esperienza di Agostino, nel suo rapporto personale con la Parola. E il motto, che credo fosse già il suo motto vescovile, recita: “In illo uno unum”, cioè: in Lui che è uno, noi siamo uno. Questa è la tensione: ricondurre all’unità in Cristo.

Penso che la sua elezione possa attivare un poco di attenzione verso l’ordine agostiniano, anche in tema di vocazioni…

“Onestamente ci ho pensato, sì. Perché nessuno sa che esistono gli agostiniani. Adesso siamo diventati famosissimi, quindi ci sta che qualcuno dica:
“Ma questi come vivono? Che fanno?” È possibile. Poi una vocazione nasce sempre da motivi disparati, ma ha un percorso: quello dell’adesione a Cristo. Un percorso che, in un certo senso, prescinde anche dalla casualità del primo moto che ti porta a cercare”.

Siamo nell’anno giubilare, ci sono quei cammini che attraversano tante delle nostre strade… Nel vostro aver attirato l’attenzione per questo motivo, vi aspettate anche un maggior afflusso, a questo punto, di pellegrini e visitatori, incuriositi dal conoscere un po’ chi siete?

“Noi abbiamo sempre tante persone che vengono a cercarci. Nonostante siamo in un bosco, e in un posto assolutamente non di passaggio, c’è tanta gente che cerca il silenzio, la preghiera, la possibilità di condividere l’esperienza della fede. Questo è uno dei principali servizi che rendiamo alla Chiesa, dopo la preghiera. Onestamente non avevo pensato a questa ripercussione. Ma sì, è possibile che accada anche questo: che qualcuno cerchi un monastero agostiniano invece che uno di Clarisse, per esempio. Può darsi. Noi, nei limiti del possibile, offriamo questo servizio di accoglienza tutto l’anno”.

Avete scritto anche una mail al Papa, di congratulazioni è possibile?

“Ammazza! (ride poi scherza: si sente che sono di Roma eh! ) Ma questa come è uscita? “.

Katiuscia Vaselli