Per capire se tutto andasse per il verso giusto i professionisti delle Scotte hanno dovuto parlare con i pazienti durante ogni attimo delle operazioni: gli interventi innovativi sono stati condotti dalla Neurochirurgia su due casi molto particolari.
L’area del linguaggio è stata il filo conduttore delle asportazioni delle neoplasie, – di cui i pazienti erano affetti – che si trovavano vicino alle sedi del cervello deputate alla comprensione e all’espressione del linguaggio stesso. Uno dei tumori era anche prossimo alla zona che definisce l’espressione motoria.
Ad aiutare l’unità operativa del policlinico senese c’erano diverse equipe di altre discipline: la Neurologia e neurofisiologia clinica, la Neurologia perioperatoria e postcritica e la Piscologia. Necessario anche l’intervento di due mediatrici culturali, visto che chi si è dovuto sottoporre all’intervento non era madre lingua italiana.
“Abbiamo dovuto parlare con i pazienti per tutta l’operazione – dice la dottoressa Francesca Tarantino, direttrice ad interim della Neurochirurgia – . Ecco perché è stato fondamentale modulare il piano di anestesia in modo da garantire dopo una prima fase di sedazione più profonda, una successiva di blanda analgesia ed infine nuovamente una fase di approfondimento della sedazione: il tutto per salvaguardare la capacità di collaborazione e di risposta agli stimoli da parte del paziente sveglio, privo di dolore e in respiro spontaneo per tutta la durata dell’intervento”.
La dottoressa ha ricordato l’importanza del ruolo delle mediatrici: “hanno dato un contributo importate perché durante l’intervento era fondamentale valutare e proteggere tutte le competenze linguistiche dei pazienti, sempre sotto monitoraggio continuo dei parametri vitali da parte del team anestesiologico”
Ai pazienti è stato chiesto di descrivere immagini e leggere testi per controllare che il cervello fosse integro. Stimoli elettrici, per registrare continuamente le risposte degli arti, sono stati usati per monitorare l’attività motoria.
“Grazie a queste tecniche evolute, che comprendono anche l’utilizzo del modernissimo esoscopio con filtri per sostanze fluorescenti, è stato possibile asportare più del 90% di entrambi i tumori. La rimozione ampia – dice il professore Salvatore Chibbaro, primo operatore ed esperto di questo tipo di neurochirurgia – senza generare danni cerebrali permanenti, preservando tutte le funzioni superiori, è lo scopo finale da raggiungere in questi pazienti”.
Visto la particolarità dei casi si è svolto anche un approfondimento con i professionisti dell’ospedale di Careggi.