Pensioni alle donne: si conferma il divario con gli uomini di oltre il 30%. A caccia di riforme che non si vedono

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Pubblicati i dati dell’Osservatorio Inps sulle pensioni liquidate ai dipendenti pubblici nel 2022 e sul primo trimestre 2023. Dati che ci consentono di aprire qualche ragionamento più generale e sensibilizzare all’azione.

Due sono gli elementi di valutazione significativi che orientano fortemente al tema “intervento urgente a favore delle donne”; il primo riguarda il numero dei pensionati, visto che al 1° gennaio 2023, emerge che il 40,4% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato agli uomini. Alle donne, dunque, va la percentuale più importante, cioè il 59,6%.

L’altro tema, considerevole, in questa direzione, è quello dell’età media di riferimento: tra i due generi, la differenza anagrafica per i titolari di pensioni di inabilità si discosta di oltre 4 anni (69,9 anni per gli uomini e 74,5 per le donne), mentre l’età media della categoria superstiti è addirittura di 78,6 anni per le donne, contro i 72,2 anni per gli uomini.

Ma, nonostante le donne siano in percentuale maggiore nel bacino di utenza, di fatto, percepiscono molto meno degli uomini. Rimanendo nell’ambito della pensione di anzianità e di vecchiaia, nel primo trimestre 2023, il loro assegno medio è del 33% in meno: 904 € contro 1.357 €.

Un divario che non si ferma e che continua ad ampliarsi, dal momento che ha radici profonde. Carriere lavorative discontinue, con periodi di interruzione per assistere i familiari, minori progressioni di carriera, caratterizzano la storia contributiva di molte donne. Ma tali criticità legate all’esperienza lavorativa, i diversi tipi di contratto e le retribuzioni inferiori esitano in un minor montante contributivo finale.

Se si pensa che non sia così per tutte le gestioni previdenziali, si commette un errore, dato che, la costante dell’assegno pensionistico inferiore delle donne, vale, purtroppo, per tutte le professioni.

Altro elemento di attenzione dell’Osservatorio pensioni Inps è il calo delle pensioni anticipate del primo trimestre 2023, rispetto al primo trimestre dello scorso anno: meno 38%! Ora, se pensiamo che nel 2022 il numero di aderenti al regime anticipato Opzione Donna era aumentato, rispetto all’anno precedente, del 15%, nonostante la decurtazione dell’assegno e che ammontava in totale a 8.833, vedremo, con i nuovi requisiti, quante donne si avvarranno del diritto (anche maturato in precedenza).

Ricordo che la nuova Opzione Donna al 31 dicembre 2022, prevede di trovarsi in una delle condizioni indicate dalla legge, ovvero caregivers, invalidità del 74%, dipendenti o licenziate da aziende con tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, oltre ad anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica di almeno 60 anni. Quindi, età comunque posticipata rispetto ai precedenti anticipi, e presenza di condizioni particolari che non sono affatto lontane dalla realtà, in questo momento.

Il tema che rimane, però, è quello dell’occupazione, prima della pensione; quello del lavoro legato alla tutela e al riconoscimento economico del carico familiare piuttosto che quello della discontinuità lavorativa, delle differenze salariali e del lavoro part-time, pagato meno sulle ore effettive di lavoro.

Tema che richiederebbe una riforma strutturale seria ed equa. Ma, per ora, non se ne sente parlare.

Maria Luisa Visione