Me lo dico da solo e senza nessun imbarazzo: sono un provinciale.
E se visitando l’Isabella Stewart Gardner Museum a Boston, mi imbatto – a sorpresa – in un Polittico di Simone Martini, ho un momento di commozione interiore e di orgoglio per questo maestro senese così lontano nel tempo da me e da noi, ma che sento parte della nostra cultura e della nostra città .
E poco mi importa – e nulla cambia – quando leggo sulla guida che il Polittico stesso viene attribuito più alla bottega di Simone che a lui stesso (forse ci avrà dedicato solo uno sguardo), se non addirittura a Lippo Memmi: sempre di genio senese si tratta.
E quando a pochi metri mi trovo di fronte un ritratto di Santa Elisabetta di Ungheria di Ambrogio Lorenzetti, mi dispiace scoprire che non sia stato inviato al Santa Maria della Scala per la grande mostra in corso fino al 21 gennaio.
Mi arrabbio proprio, invece, al Museum of Fine Arts di Boston quando mi trovo di fronte ad una tavola di Duccio di Buoninsegna con Crocifissione e Santi e non la vedo inserita fra gli Highligts, cioè le principali opere da non perdere del museo. Ma come è possibile?
Sorrido infine con segreto ed ironico compiacimento di fronte ad un frammento attribuito al Maestro dell’Osservanza – da me amatissimo – ma che mi sembra avere invece le caratteristiche di uno dei tantissimi falsi novecenteschi firmati da Icilio Federico Joni e dai suoi amici.
Anche loro esponenti – sia pure decisamente eccentrici – di quella scuola senese che ci fa sentire di casa in tutti i grandi musei del mondo.
Roberto Guiggiani