Negli ultimi anni, i concetti di woke e cancel culture sono diventati protagonisti del dibattito sociale, ponendo al centro dell’attenzione temi come l’uguaglianza, la fin troppo abusata inclusività e il riconoscimento dei diritti.
Sebbene i presupposti possano essere lodevoli, la loro estrema applicazione sta generando dinamiche controproducenti, rischiando di compromettere i principi stessi che vogliono difendere. Come sosteneva Oscar Wilde, con le migliori intenzioni, si ottengono spesso gli effetto peggiori. Tra i vari aspetti trascurati, uno dei più importanti è il valore dell’identità personale e collettiva, che rischia di essere soffocato o distorto in una società orientata al pensiero unico e alla conformità. Dal punto di vista psicologico, l’identità è un elemento fondamentale per il benessere individuale, è un vero e proprio pilastro della nostra salute mentale. L’identità ciò che ci definisce, ci permette di trovare il nostro posto nel mondo e di relazionarci con gli altri. Come affermava Carl Gustav Jung, “Il privilegio di una vita è diventare chi sei veramente”.
Quando l’identità personale viene attaccata, ignorata o deformata, si verificano conseguenze profonde che creano fratture tra ciò che si è realmente e ciò che si percepisce di dover essere. Ciò può condurre all’instaurarsi di paure in merito al giudizio degli altri, alimentate dalla pressione a rispettare standard imposti che possono far sentire inadeguate le persone che non si riconoscono pienamente nei valori dominanti, generando infine una cultura che non consente il confronto tra diverse identità. Questa polarizzazione alimenta le divisioni e l’intolleranza reciproca.
L’ideologia Woke nasce con l’intento di proteggere e valorizzare le identità storicamente marginalizzate, ma il suo utilizzo strumentale spesso sfocia nella soppressione delle identità percepite come privilegiate. Questo meccanismo crea un paradosso: nel tentativo di affermare l’importanza dell’identità, finisce per negare la libertà altrui di esprimerla. George Orwell, nel suo celebre 1984, ammoniva: “La libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Se ciò è garantito, tutto il resto segue.” La cancellazione delle opinioni o delle identità scomode si avvicina pericolosamente alla distopia di Orwell, in cui il controllo sociale prevale sulla libertà individuale e collettiva. Un aspetto cruciale che si è inserito all’interno di questo dibattito è l’impatto della Cancel Culture sull’identità collettiva. Ogni società si basa su un delicato equilibrio tra i valori comuni e il rispetto delle differenze.
La tendenza a censurare idee e opinioni per evitare che possano offendere qualcuno rischia di trasformare l’identità collettiva in un mosaico frammentato, incapace di sostenere il dialogo e la coesione. John Stuart Mill, nella sua opera Sulla libertà, sottolineava: “Se tutta l’umanità, eccetto una persona, fosse di una stessa opinione, e quella sola persona fosse dell’opinione contraria, l’umanità non avrebbe più diritto a ridurre al silenzio quella persona di quanto quella persona ne avrebbe a ridurre al silenzio l’umanità.” Questa riflessione ci ricorda che il pluralismo di idee è essenziale per preservare una società democratica. In un contesto così complesso, come possiamo dunque preservare il valore dell’identità personale e collettiva? Riconoscendo l’unicità di ogni individuo invece di concentrarsi esclusivamente sulle differenze o sui privilegi, e valorizzando le storie personali e i percorsi unici di ciascuno. L’identità non è un campo di battaglia, ma un terreno di incontro. Promuovendo il dialogo costruttivo tra opinioni diverse, da intendere come un’opportunità di crescita, piuttosto che una minaccia. Imparando non solo a tollerare ma a considerare il conflitto e il disaccordo, da non confondersi con la guerra, come presupposto per una crescita personale e collettiva. Il conflitto, gestito strategicamente e con consapevolezza, può rappresentare un’occasione di apprendimento e trasformazione. La guerra, invece, esprime una regressione, un’incapacità di gestire la diversità, portando distruzione.
Le parole di Gregory Bateson: “La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza”. Il valore dell’identità, personale e collettiva, non può essere sacrificato sull’altare di un’ideologia, per quanto nobile possa essere nei suoi intenti. Woke e Cancel Culture possono avere il merito di aver acceso i riflettori su temi importanti, ma il loro renderli assoluti sta tradendo i principi fondamentali di identità, uguaglianza e libertà.
Come scrisse il politico, drammaturgo, saggista e poeta ceco Václav Havel: “Il vero test morale dell’umanità è la sua relazione con coloro che sono diversi, con gli altri.” Solo riconoscendo e rispettando l’identità di ciascuno, senza imporre conformismi o censurare dissensi, possiamo migliorare noi stessi e la società nella quale viviamo. È nella valorizzazione delle differenze, non nella loro soppressione, che risiede la vera forza del cambiamento. Le parole di Charles Evans Hughes, giurista e politico statunitense: “Quando perdiamo il diritto a essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi”.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo, Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma
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@dr.jacopo.grisolaghi