foto di Francesco Laezza
Quanto dura una vita? Quanto dura l’amore. Il resto sono giorni e sono anni, sono passi strascicati e parole pronunciate senza venire ascoltate. Il resto è esistenza, è quel venire sfiorato con indolenza dalle ali del tempo e non abitarlo, è la meccanicità di un gesto, è il silenzio del cuore. Il resto è guardarsi in uno specchio senza riconoscersi, è rassegnazione e malattia, se è vero, come sapeva bene Freud, che chi non ama, si ammala. E quando ciò avviene, neppure i ricordi fioriscono, neppure i ricordi riescono più a fiorire: ogni verbo si lascia coniugare esclusivamente al presente, mentre ogni sentimento si riduce alla noia. In quei momenti lo sguardo, posandosi su “Confesso che ho vissuto” di Pablo Neruda o su “Prima delle fine” di Ernesto Sabato, può perfino trasformarsi in un pugnale, che affonda impietoso nella carne e ci strappa un grido, che si pone a metà strada tra il rimpianto e il desiderio: “Oh, se anche la nostra vita fosse stata così ricca! Oh, se anche noi l’avessimo trascorsa non già aspettandola, bensì consumandola con intensa passione”. Quanto dura una vita? Quanto dura l’amore. Solamente le autobiografie di chi la vita l’ha vissuta realmente, e non quelle di chi la vita, invece, l’ha semplicemente, e con struggimento, sognata, catturano la mia attenzione. Come “Siena un amore lungo una vita” di Ranieri Carli, che è stato per molto tempo bibliotecario presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Ateneo senese. Immergersi nella lettura di questo libro consente non solo di avvicinare un’esistenza, quella dell’autore, che presenta tangenze e intersezioni con la storia del nostro Paese, ma anche di cogliere le trasformazioni, in taluni casi profonde, della nostra città. E che Siena – con la sua campagna – sia la vera protagonista del testo, sebbene mostrata sempre attraverso il filtro della soggettività, a tratti elegiaca, di Carli, lo attestano eloquentemente anche i titoli di alcuni dei capitoli: “Porta Tufi”, “Fonti”, “Giardini della Lizza e Fortezza”, “Chigi, Chigiana, chigianisti”, “Contrada”, “Da Federigo Tozzi alle discoteche”, dal quale è tratto il passo che segue, a conferma dell’intrecciarsi, nell’opera, di memorie di vita e memorie letterarie.
“Io, che ho passato ormai da tempo le soglie della vecchiaia, ricordo bene come la Siena della mia giovinezza somigliasse incredibilmente a quella che si trova descritta nei capolavori di Federigo Tozzi. Tozzi non amò Siena, né poteva essere diversamente, ma l’ossessione per la città, per la sua melanconia, la mentalità dei suoi abitanti, la provincialissima ristrettezza delle idee che qui trovavano terreno fertile, nutrirono quasi continuamente l’animo inquieto dello scrittore. Siena appare a me, che non sono un critico letterario né voglio atteggiarmi ad esserlo, la costante protagonista dei suoi scritti. Quando, da giovane, lessi i romanzi di Tozzi, la città mi sembrò ancora del tutto simile a quella dei primi del Novecento, dove gli abitanti ricordavano quelli che si ritrovano in “Tre croci”, nel “Podere” o in “Con gli occhi chiusi”. Ho incontrato Ghisola, lo sventurato ed inetto Remigio o i tre fratelli gestori della libreria di “Tre croci”. E Ghigo del Sasso, il padre di Tozzi, poteva essere uno qualunque dei rozzi proprietari delle osterie, che ancora segnavano, sgangheratamente, certi angoli della città. I sensali che stazionavano in ogni ora del giorno all’angola di via di Beccheria con via di Città e, se pioveva, nel caffeuccio all’angolo della Costarella – divenuto oggi un ritrovo, per forestieri e senesi, simile a tanti altri – mi intimorivano con le loro voci rudi e spesso volgari come se la mia vita invece che nel dopoguerra si svolgesse ancora in un tempo che si era arrestato ai primi anni del secolo scorso”.
Ranieri Carli, Siena un amore lungo una vita, Siena, Betti Editrice, 2015
a cura di Francesco Ricci