Regalare presenza: il Natale come occasione per investire nei legami
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Il Natale, se osservato con uno sguardo psicologico, rappresenta uno dei momenti più contraddittori dell’anno: è una lente che ingrandisce bisogni, fragilità e contraddizioni del nostro modo di stare in relazione.
In molti, in questo periodo, sottolineano l’importanza della famiglia, della vicinanza, ma poi misurano tutto in pacchetti e oggetti, come se il sentimento avesse bisogno di una prova materiale per esistere. In realtà, tutto questo ha un suo perché implicita: l’oggetto diventa un mediatore, un modo condiviso per comunicare affetto senza esporsi troppo.
Regalare cose è semplice, rapido, culturalmente codificato; regalare presenza, tempo ed esperienza, invece, richiede coinvolgimento emotivo. Dal punto di vista psicologico, sappiamo che ciò che nutre davvero il benessere e la qualità delle relazioni non è il possesso, ma il significato attribuito alle esperienze condivise. Le neuroscienze mostrano come le esperienze vengano integrate nella memoria autobiografica, contribuendo alla costruzione dell’identità personale e relazionale, mentre gli oggetti tendono a perdere rapidamente il loro valore: ciò che oggi ci entusiasma, domani diventa normale, invisibile, sostituibile. Daniel Kahneman, studiando la differenza tra il “sé che vive” e il “sé che ricorda”, sottolinea come il nostro benessere sia profondamente legato al ricordo delle esperienze più che al piacere momentaneo del possesso; ciò che ricordiamo con emozione è ciò che ha coinvolto relazioni, tempo e significato, non ciò che abbiamo semplicemente comprato.
In questa prospettiva, regalare un’esperienza a Natale non è un gesto romantico o alternativo, ma una scelta strategica: significa investire sul capitale emotivo della relazione, creare ricordi condivisi che diventeranno punti di riferimento futuri, risorse a cui attingere nei momenti di distanza, conflitto o fatica.
Anche il tempo condiviso assume un valore centrale: viviamo in una cultura orientata alla performance, alla produttività e alla velocità, in cui il tempo è percepito come risorsa scarsa e sempre insufficiente; proprio per questo, donare tempo è uno dei messaggi relazionali più potenti che esistano, perché equivale a dire “sei importante, sei una priorità”. Il tempo condiviso rafforza il senso di alleanza, aumenta la fiducia e riduce quella solitudine che spesso si annida anche all’interno delle famiglie apparentemente unite, soprattutto durante le feste, quando la vicinanza fisica non sempre coincide con la vicinanza emotiva. Gli abbracci, poi, rappresentano il livello più profondo e primario del dono natalizio: il contatto fisico attiva il paleoncefalo, la parte più profonda del nostro cervello, dove risiedono le sensazioni, favorisce il rilascio di ossitocina, riduce il cortisolo e comunica sicurezza e appartenenza a un livello che precede il linguaggio.
Non è un caso che nei momenti di crisi le parole risultino insufficienti e resti solo il gesto; il corpo sa dire ciò che la mente fatica a formulare. A Natale, che simbolicamente celebra la nascita e il legame, l’abbraccio diventa un atto potentemente coerente con il significato profondo della festa. Continuare a puntare sugli oggetti può essere letto anche come una strategia difensiva: l’oggetto protegge dall’intimità, permette di adempiere a un ruolo (“ho fatto il regalo”) senza esporsi realmente sul piano emotivo; esperienze, tempo e contatto, invece, richiedono presenza autentica e disponibilità.
Come osservava Erich Fromm, “l’amore è un atto, non un oggetto”, e il Natale può diventare il contesto privilegiato in cui trasformare questa affermazione da ideale astratto a pratica concreta. Dal punto di vista educativo e transgenerazionale, questa scelta ha un impatto enorme: insegna che l’amore non si compra, che la felicità non è accumulo ma connessione, che il valore di una relazione non si misura in quantità di doni ma in qualità di presenza. Strategicamente, spostare l’attenzione dagli oggetti alle esperienze riduce anche molte delle tensioni tipiche delle festività: diminuisce il confronto sociale, l’ansia da prestazione, la competizione e aumenta lo spazio per un piacere più semplice e condiviso.
In definitiva, regalare esperienze, tempo e abbracci a Natale è una scelta basata su una comprensione profonda di come funzionano la mente umana, le emozioni e i legami. È un investimento a lungo termine sul benessere psicologico individuale e collettivo, un modo per allineare ciò che diciamo di voler celebrare con ciò che effettivamente facciamo. Forse il regalo più grande, in un’epoca di eccesso e rumore, è proprio questo: restituire al Natale la sua funzione originaria di spazio relazionale, ricordando a noi stessi e agli altri che ciò che resta davvero non si trova sotto l’albero, ma nella memoria emotiva di un tempo condiviso e di un abbraccio sentito.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma