Come abbiamo visto nell’articolo della scorsa settimana, il testo della riforma ci consegna un Senato differente da quello odierno dal punto di vista della composizione. Ma non solo: diversi cambiamenti sono infatti previsti anche per quanto riguarda poteri e competenze, che hanno fatto parlare della fine del bicameralismo “perfetto”.
Oggi Camera e Senato hanno gli stessi poteri (anche se, dal punto di vista delle competenze, ci sono delle lievi differenze, ndr). Perché? Si tratta di una reazione all’esperienza del ventennio fascista, che l’Italia ha vissuto dal 1925 (l’anno della marcia su Roma, ndr) fino al luglio del 1943. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’Assemblea costituente decise di attribuire gli stessi poteri ad entrambe le Camere per rafforzare il ruolo del potere legislativo a discapito dell’esecutivo, allo scopo di ridurre il pericolo di future derive autoritarie governative.
Uno degli obiettivi della riforma è invece quello del superamento del bicameralismo paritario, per approdare ad un bicameralismo differenziato.
Come avevamo accennato nel primo articolo della nostra guida al referendum, il Senato rappresenterà le autonomie territoriali. Quest’ultimo avrà funzioni di raccordo fra lo Stato, gli altri enti della Repubblica e l’Unione europea; parteciperà alla formazione e all’attuazione degli atti e delle politiche dell’Unione europea; valuterà l’operato della pubblica amministrazione; avrà il compito di valutare l’effetto delle politiche dell’Unione europea sul territorio; esprimerà il proprio parere sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge; vigilerà sull’effettiva attuazione delle leggi. Inoltre, il nuovo articolo 70 della Costituzione attribuisce al Senato il potere di “svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati”.
La Camera continuerà invece a rappresentare la Nazione nel suo complesso. Anche dal punto di vista della composizione resterà tutto com’è, ed essa conserverà la funzione di indirizzo politico e la funzione di controllo dell’operato del Governo. Alla Camera spetteranno in via esclusiva la deliberazione dello stato di guerra, l’emanazione di leggi che concedono l’amnistia e l’indulto e l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali (esclusi i trattati dell’Unione europea, che rientrano tra i casi di approvazione bicamerale, ndr).
La riforma, nell’ottica di attribuire maggior potere al Governo, attribuisce a quest’ultimo il potere di dichiarare un disegno di legge come essenziale per l’attuazione del proprio programma politico. In questo caso la Camera sarà obbligata ad pronunciarsi in via definitiva entro 70 giorni dalla data della deliberazione, prorogabili fino ad un massimo di ulteriori 15 giorni.
Attualmente la Costituzione prevede che il Governo, per poter esercitare le sue funzioni, debba ricevere il voto di fiducia da entrambe le Camere. Con la riforma, invece, il Senato non voterà più la fiducia all’esecutivo, che resterà prerogativa esclusiva della Camera. Di conseguenza, il Governo cadrà soltanto nel caso in cui il rapporto fiduciario con la Camera venga meno. Esecutivo e Senato, invece, non saranno più legati da questo particolare vincolo.
Fin dalle prime fasi della stesura della riforma, il governo Renzi ha insistito particolarmente sulla “lentezza” del Parlamento, criticando il fenomeno della “navetta” parlamentare (che si verifica quando una proposta di legge passa più volte da un ramo all’altro del Parlamento, in attesa che entrambe le Camere approvino lo stesso identico testo, ndr).
Mentre oggi entrambe le Camere devono prendere parte al processo di formazione delle leggi approvando lo stesso testo, con la riforma la partecipazione del Senato alla formazione delle leggi sarà soltanto eventuale. Fatte salve alcune eccezioni che vedremo più avanti, il procedimento legislativo sarà infatti monocamerale e coinvolgerà la sola Camera dei deputati. Tuttavia, entro 10 giorni il Senato potrà esaminare il testo di legge se lo richiederanno almeno 1/3 dei senatori, che avranno 30 giorni di tempo per proporre eventuali modifiche non vincolanti.
Ed ecco le eccezioni. Per quanto riguarda le leggi di bilancio – le leggi, cioè, attraverso le quali il Governo sottopone al Parlamento l’ammontare delle entrate e delle uscite previste per l’anno successivo – non vale quanto abbiamo appena detto: il Senato esamina obbligatoriamente il testo legislativo, ed ha 15 giorni di tempo per proporre eventuali modifiche. Anche in questo caso la Camera potrà comunque decidere liberamente a maggioranza semplice, non essendo obbligata ad uniformarsi agli emendamenti proposti dal Senato.
Un’altra procedura legislativa particolare è inoltre prevista quando si applica la clausola di supremazia a favore dello Stato. Introdotta dalla riforma costituzionale, essa prevede che lo Stato possa intervenire su materie che sono di competenza delle Regioni per motivi di “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica” o “dell’interesse nazionale”.
Anche in questo caso il Senato può richiedere di esaminare il testo senza che sia necessario il consenso di 1/3 dei senatori e proporre eventuali modifiche. Se gli emendamenti proposti dal Senato sono stati approvati a maggioranza assoluta (50% + 1 dei componenti), la Camera può respingerli soltanto se anch’essa, a sua volta, delibera a maggioranza assoluta.
La riforma prevede inoltre che il procedimento legislativo resti bicamerale e paritario in alcuni casi eccezionali, facendo sì che Camera e Senato debbano approvare lo stesso identico testo. Si tratta di leggi di sistema (ad esempio le leggi costituzionali e quelle di revisione costituzionale, le leggi elettorali, ecc.), questioni riguardanti il raccordo fra lo Stato e l’Unione europea (l’esempio classico è la legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati e di attuazione delle direttive Ue), rapporti fra Unione europea e Regioni, norme che riguardano il Senato, e di alcune leggi specifiche che disciplinano gli enti locali.
Il nuovo articolo 70 della Costituzione introduce quindi diversi tipi di procedimento legislativo che, come abbiamo spiegato, variano a seconda della materia trattata. La Camera e il Senato possono tuttavia sollevare conflitto di competenza qualora ci sia disaccordo sulla scelta del procedimento da seguire: in questo caso i presidenti delle due Camere saranno chiamati a decidere, “d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti”, anche se non sono chiare le conseguenze nel caso in cui essi non riuscissero a trovare un accordo.
Giulio Mecattini
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