“La guerra non è inevitabile”. Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, nel Duomo gremito per Sant’Ansano, trasforma l’omelia in un appello civile oltre che spirituale.
Il messaggio è chiaro: “Dobbiamo resistere. Rifiutare la narrazione dell’inevitabile. Spegnere il chiacchiericcio e accendere la coscienza. Dire parole giuste”.
Il cardinale denuncia il rischio di una cultura pubblica che si arrende al fatalismo, ritrovando le stesse dinamiche nelle guerre che oggi devastano il mondo. “La guerra non è inevitabile: va combattuta non con le armi, ma con la lucidità, con l’impegno, con la politica nel senso più alto, con la cultura, con la memoria, con il coraggio di non abituarsi”. E torna sul monito di Papa Francesco: “Quei “pezzi della terza guerra mondiale” si compongono quando ci convinciamo che non si possa fare nulla”. Per Lojudice è proprio questa l’autentica sconfitta morale.
Da qui il richiamo al sacrificio di Sant’Ansano, patrono e “Battezzatore dei senesi”, figura centrale del secondo asse dell’omelia: il martirio antico che illumina il presente. Lojudice ricorda la sua scelta di non rinnegare la fede durante la grande persecuzione del IV secolo: “Secondo la tradizione, arrivò a Siena lungo la Cassia e convertì la comunità senese. Il primo dicembre del 303 — o 304 — venne decapitato per questa sua attività di evangelizzazione”.
Una memoria, sottolinea, che “ci unisce come popolo cristiano e che noi, come Chiesa, abbiamo la missione di trasmettere di generazione in generazione”.
Da Ansano ai martiri di oggi, il passaggio è diretto. Lojudice denuncia la “cristianofobia”, fenomeno che cresce nel mondo e non risparmia l’Occidente: “Sono sessanta i Paesi teatro di persecuzioni estreme o molto forti. Milioni di cristiani vivono violenze, discriminazioni, negazione dei diritti”. E ammonisce: “La percezione in Occidente è molto scarsa, ma la persecuzione anticristiana è in crescita da tanti anni”.
Nel terzo grande passaggio, il cardinale allarga la prospettiva alla vita quotidiana e al senso dell’Avvento: un tempo in cui “rallentare i ritmi” diventa gesto controculturale. “Stiamo sostituendo l’attesa con un algoritmo, con quel culto del “tutto e subito” per cui ogni pausa sembra una sconfitta”, dice. E avverte: “Senza attesa tutto implode: il desiderio si consuma, la ricerca diventa superficiale, la fedeltà perde misura”.
Per questo invita a recuperare i “mille frammenti di tempo” della giornata e a trasformarli in relazione, cura, ascolto.
La conclusione è un invito alla responsabilità: “Il mondo sarà salvato da chi non si rassegna. E mi auguro — e auguro a tutti — di essere tra questi”.
MC