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Sarita Massai, Oltre la soglia

Colui che varca la soglia, è già al cospetto di un nuovo inizio. Soglia, infatti, non indica semplicemente la lastra di pietra (o di cemento) che unisce ambienti o vani diversi (“il cane stava disteso sulla soglia”), ma anche il principio di qualcosa, come nell’espressione “essere sulla soglia della vecchiaia”. E lo fa con tutta la concretezza suggerita dall’etimologia della parola, che rimanda al latino “solea” (“pianta del piede”, “suola”). Di conseguenza, chi si ritrova oltre la soglia – o per costrizione o per libera scelta – fa esperienza nell’anima e nel corpo di una realtà per lui nuova, sconosciuta, potenzialmente tremenda. E proprio la soglia, a partire già dal titolo, è il tema di fondo, e quindi anche il filo rosso, dell’ultimo libro di Sarita Massai. Soglia reale e/o soglia simbolica, c’è sempre, però, una soglia che viene varcata dalle tre protagoniste dei tre racconti che lo compongono: Tuccia, una Vestale nella Roma di età imperiale, Ana, una giovanissima ragazza che attraversa l’inferno della guerra balcanica dell’ultimo decennio del XX secolo, Patrizia, una donna che lavora presso l’Archivio di Stato di Siena e che, ormai non più giovane, decide di sposarsi con un uomo che non ama.

Nel primo testo (“La danza e la sua fine”) l’oltrepassamento della soglia viene narrato dalla stessa protagonista (“Con queste parole Cecilio, Pontefice, faceva di me una sua sacerdotessa. La mia vita terrena finiva, ero una eletta della Dea”), al pari di quanto accade nel secondo, intitolato “Ana”, stavolta all’interno del dialogo maestra-allieva (“Capivo che era indispensabile non interrompere il flusso del racconto. Lei proseguì: ‘Entrarono con una luce allegra, entrarono vestiti di nero, di verde e marrone’”), nel terzo e ultimo (“Patrizia”), invece, tocca a un’amica condensare gli snodi fondamentali dell’esistenza del personaggio principale della vicenda (“Conobbi Patrizia una mattina di molti anni fa. Ricordo la giacca a quadri verdi e gialli che indossava”). In ogni caso, affidato direttamente alle parole della protagonista o indirettamente a quelle di una testimone-ascoltatrice, il passaggio della soglia è descritto da Sarita Massai nei termini della frattura, della cesura, del taglio netto. C’è sempre un prima, infatti, e c’è sempre un dopo (ante eventum/post eventum), intorno ai quali si articola un’intera serie di opposizioni binarie: leggerezza-pesantezza, sogno-realtà, illusione-disincanto, speranza-disperazione, vita-morte.

Non solo. Ma l’autrice con finezza e sensibilità suggerisce che se una è, nella vita di una persona, la soglia decisiva di un’esistenza e di un destino – del destino di un’esistenza –, numerose, però, possono essere le piccole soglie dinanzi alle quali l’arrestarsi, al pari del proseguire, non è mai scevro di conseguenze. Il passo che segue costituisce l’inizio di “La danza e la sua fine”. Si presti attenzione al piano del significante, dove frequenti appaiono le figure di suono (allitterazioni, assonanze, consonanze), e a quello del significato, dove a spiccare è la sinestesia “Quella notte le stelle sembravano urlare la loro danza”: a conferma della natura eminentemente lirica della scrittura di Sarita Massai. Il libro è impreziosito dalla bellissima Prefazione di Duccio Balestracci.     

“L’inizio è stato indipendente da noi. Spesso ogni inizio e ogni fine sono indipendenti da ciò che vorremo o potremo. Questa è la bellezza feroce dell’essere umano. Siamo condannati a non sapere, sublimando l’essere sull’orlo tra la vita e la morte. In quel giorno tutto sembrava assolutamente normale. L’aria sferzava il celeste e ghermiva povere foglie tenacemente appese alla linfa della vita, i mercanti erano distratti nel fumo dei pensieri e io diretta, svogliatamente, ad assolvere il compito di figlia. Come ogni giorno, come di solito, niente di diverso dal quotidiano. Eppure un grande evento mi aspettava. Quella notte le stelle sembravano urlare la loro danza, nel cielo. Qualcuna cadeva, infuocava per un attimo l’aia e andava a morire in un’altra parte di nero, là oltre nel cielo, moriva come cosa viva muore. Perché il fuoco è vivo, fin quando non muore. Ovunque c’erano grida soffocate di bambini che esprimevano desideri ad alta voce. Più in là, amanti notturni erano ombre vaghe della sera, intrecciate indistinte le membra tradivano suoni nascosti. La luna ovattava ogni altra presenza. La mia città non era stata mai stata così limpida. La mia città non sapeva che di lì a poco avrebbe cessato di esistere per come era. E io con lei”

Sarita Massai, Oltre la soglia, Il Papavero, Avellino 2021

a cura di Francesco Ricci

Francesco Laezza

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