Cosa penserebbe oggi il celebre Darwin osservando il futuro demografico che ci aspetta?
Come sappiamo, l’evoluzione della specie veniva spiegata dallo scienziato non in termini mistici e soprannaturali, bensì in relazione a una legge naturale secondo la quale, gli individui che manifestano mutamenti vantaggiosi hanno più probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita, lasciando in eredità ai loro discendenti i caratteri di forza e di adattabilità acquisiti. Insomma, la capacità di adattamento al contesto rimane, in qualsiasi rapporto con il rischio, il segreto principale per gestire la variabilità.
Mancano meno di trent’anni perché i decessi doppino le nascite, precisamente tale punto di snodo è calcolato nelle stime degli scenari Istat mediani al 2048. Insieme all’invecchiamento della popolazione italiana, che è ormai un’evidenza nota alla maggior parte di noi, sarà proprio il rapporto tra numero di giovani e numero di anziani a determinare una demografia profondamente diversa dalle rappresentazioni a cui siamo abituati adesso.
Per ogni giovane si conteranno ben tre anziani. Definiamoli, però, in ottica di età.
Oggi i giovani sono compresi nella fascia 15-34 anni, mentre gli anziani sono coloro che superano i 74 anni, in quanto dai 65 ai 74 parliamo di tardo-adulti, denominazioni che si sono riposizionate con l’allungamento della vita stessa e che non sono etichette ma proiezioni di un futuro che in avanti vede ruoli attivi diversi nella nostra società. Così la fascia dei giovani è quella in cui, presumibilmente, si è in media a carico dei genitori. Infatti, dato strettamente correlato, è quello della popolazione in età lavorativa che scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale.
Quindi, la dinamica demografica che si è innescata è ormai al ribasso, con un calo che si presenta continuo nel tempo e graduale; da qui al 2030 arriveremo a 58 milioni di italiani residenti, a 54,1 milioni tra il 2030 e il 2050, e nel lungo termine, al 2070, a 47,6 milioni.
È fin dal 2007 che si assiste a un ricambio naturale della popolazione negativo, conseguenza di una riduzione della natalità che, forse, nasconde un malessere sociale del quale non si parla abbastanza. Ci dirigiamo verso una società in cui non si fanno figli e per la quale le persone vivranno da sole.
Se da una parte l’avanzare incessante dell’invecchiamento della popolazione sembra prospettare la necessità di significative politiche di protezione sociale (entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 35% del totale), dall’altra il fatto che nei prossimi trent’anni coloro che si trovano nell’età lavorativa diminuiranno, innescano, o dovrebbero innescare effetti sul mercato del lavoro dei quali occorrerebbe preoccuparsi concretamente fin da oggi.
Tuttavia, siamo nel campo di un futuro che guardiamo incerto, e talmente ci siamo abituati all’incertezza che non chiediamo, invece, di costruire oggi scenari in cui l’idea di permettersi economicamente più di un figlio, non sia una meteora ma un domani possibile.
Entro il 2040 più di una famiglia su cinque non avrà figli; in pratica si ridurranno le nuove generazioni, con una tendenza a prolungare la permanenza a casa con i genitori per i giovani trentenni. Inoltre, la frequente instabilità coniugale, fa intravedere l’aumento di padri e madri che vivono da soli con un figlio.
Proviamo a immaginarla questa futura società demografica insieme al suo sistema di welfare. E a raccontarla a Darwin.
Maria Luisa Visione