Si diceva, tempo fa, che piccolo è bello.
E se ci dovessimo basare su quanto ci accade intorno, in molti casi della vita, questo principio sembrerebbe ancora attuale. Lo street food, i chilometri zero, l’artigianato di alta qualità, le produzioni di nicchia, il vitivinicolo e tante altre esperienze sono lì a dimostrare quanto lo “smart” sia di attualità e, anche, modaiolo.
Tendenza che si inverte nel settore bancario.
Piccolo non solo non è bello ma è anche sconsigliato, antieconomico e pericoloso.
La questione legata alle BCC e alle banche del Veneto, oltre a decine e decine di altri casi, lo sta a dimostrare.
Nessun futuro, nessuna chance, per i piccoli istituti di credito, fuori da ogni parametro e fuori da ogni logica rispetto ai solchi tracciati dalla BCE e dalle normative europee.
Mi ricordo che quando mossi i primi passi in economia e finanza, a capo dell’azienda di famiglia, molti direttori di banche locali e di filiali di banche più importanti ma rigorosamente del luogo venivano a trovarci decantando l’importanza del radicamento, del rapporto, della conoscenza diretta e della parola.
Tutto travolto dalla logica dei numeri e da un concetto di aggregazione finanziaria che pare andare totalmente in controtendenza rispetto a quanto invece il cliente richiederebbe, dal momento che la parcellizzazione delle produzioni, l’individualizzazione del rapporto cliente-fornitore e la tendenza a riscoprire origine e suolo male si adatta ad un modello di banca che vede solo numeri, rating e esternalizzazione del rapporto.
Le ultime vicende hanno in pratica posto fine alla stupenda età delle Banche regionali: la Banca Toscana (della quale sono stato molti anni fa amministratore) ne fu un modello vincente ed un riferimento assoluto, oltretutto rappresentata da un simbolo (il giglio fiorentino) di una tradizione e bellezza assoluta, prima di essere travolta dall’insulsa cupidigia della politica espansiva della “capogruppo” come la si chiamava in quei periodi. Capogruppo (MPS) che ancora oggi sta chiedendo aiuto allo Stato per uscire dalle guazze, in crisi per malattia da aggregazione e da crediti allegramente concessi.
Non so se questo sarà un bene per la finanza, se tutto questo affaccendarsi ad includere ed ingrandirsi porterà a momenti migliori o meno.
So soltanto che io, contadino figlio di contadini, ricordo con piacere (e un po’ di tristezza) il direttore che veniva a trovarmi in ditta e che mi invitava a pranzo per discutere di lavoro, di auto e anche di donne: e che riconosceva dalla faccia, a differenza del computer, se tu gli avresti restituito i soldi o meno.
Ecco: forse queste unioni ed aggregazioni, questi computer e questa univocità non fanno tanto bene al nostro sistema ed al nostro lavoro.
Ma tant’è: il dado è tratto e da lì dobbiamo andare, volenti o nolenti.
Viva l’Italia (quella si…) grande unica e indivisibile.
Luigi Borri