Quando Bruno Valentini presentò la sua Giunta ci fu di che sgranare gli occhi.
Non c’era Alessandro Pinciani, pupilla dell’occhio destro di Alberto Monaci e nemmeno un altro esponente di Confronti. Ma come? I monaciani erano stati compatti nel sostenere Valentini alla primarie, al primo turno ed al ballottaggio e lui li lasciava fuori dalla squadra di governo? L’ira di Alberto sarebbe stata implacabile.
Non c’era Gianni Porcellotti, il più renziano dei renziani. Ma come? La candidatura di Valentini contro il Pd che non lo voleva alle primarie, era stata sostenuta proprio dai sindaci renziani, e lui li lasciava fuori dalla porta? L’ira di Scaramelli sarebbe stata implacabile.
Non c’era Carolina Persi, la più ceccuzziana di tutti. Ma come? No, qui una risposta c’era, anzi due. Allora si diceva che sarebbe dovuta andare in consiglio regionale appena due anni dopo (poi non fu così) ed in più, se fosse stata nominata assessore, avrebbe dovuto dimettersi da consigliere comunale ed al suo posto sarebbe entrata la valentiniana Sylvia Sestini, alterando così un delicato equilibrio.
Si sarebbe invece dovuto dimettere tutto il gruppo consiliare del Pd perché potessi entrare anche io in quel consiglio. Ero stato uno dei grandi trombati delle elezioni di maggio: candidato come “cavallo di razza” a fianco di Valentini, avevo peccato di eccesso di fiducia e soprattutto avevo sbagliato il “tono” della campagna elettorale, raccogliendo appena 115 voti, nemmeno la metà del previsto ed ero finito come l’ennesimo dei non eletti. E qualcuno, giustamente, brindò per quella mia sconfitta.
C’era invece, come vicesindaco, Fulvio Mancuso, “inventore” di Siena Cambia e più stretto collaboratore di Valentini. Ma si capì subito che il vicesindaco vero, nonché commissaria politica del Pd all’interno della Giunta, era Anna Ferretti, troppo spesso presente a riunioni private ed incontri pubblici che non avevano nulla a che fare con la sua delega alla sanità ed ai servizi sociali.
Per il resto: Sel ottenne l’istruzione e le politiche giovanili con Tiziana Tarquini; al manager Mauro Balani fu chiesto di occuparsi del personale; Sonia Pallai al turismo e Leonardo Tafani allo sport, avendo anche competenze tecniche nei loro settori, fecero vedere di sapere bene cosa dovevano fare e partirono con il piede giusto; mentre incongrua sarebbe stata la scelta di mettere Stefano Maggi all’urbanistica ed al traffico e temeraria quella di abbinare il nome di Paolo Mazzini alla parola “lavori” pubblici: per entrambi saranno anni di critiche più che di soddisfazioni.
Valentini tenne per sé le deleghe al bilancio, al Santa Maria della Scala e quella alla cultura, in attesa di lasciarla a Massimo Vedovelli, che doveva seguire una complessa procedura per dimettersi da Rettore dell’Università per Stranieri.
Ma questa è un’altra storia. Finita male. Anzi, neppure cominciata.
Roberto Guiggiani
(3-continua)
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