L’intenzione era buona, anzi ottima. Per consolare le città sconfitte da Matera nella corsa a Capitale europea della Cultura 2019, il ministro dei beni culturali Dario Franceschini decise di proclamare Cagliari, Lecce, Perugia-Assisi, Ravenna e Siena “capitali italiane della cultura 2015” e di stanziare un milione di euro per ciascuna.
L’inatteso arrivo di un milione di euro ebbe però l’effetto inatteso di mettere a nudo che l’amministrazione di Bruno Valentini non aveva né progetti pronti, né visioni della città all’altezza di questa opportunità, dimostrando che il problema non era (e non è) la mancanza di soldi, ma quella di idee chiare ed ambiziose.
I soldi furono spesi, naturalmente, e il sindaco ne dette puntuale e trasparente conto in consiglio comunale: 306mila euro per gli allestimenti e le mostre; circa 250mila per iniziative ed eventi; 215mila per investimenti infrastrutturali; 180mila per la progettazione; circa 45mila per le attività di comunicazione e promozione. Il cartellone fu ricco, con decine e decine di appuntamenti di “arte contemporanea” ampiamente intesa, e per molti versi anche stimolante e dirompente. Ma dopo nemmeno due anni, si ricorda soltanto il “sorriso” di Clet Abraham a Palazzo Pubblico, gli uccelloni di plastica della Cracking Art, le “chubby girls” di Xu Hong Fei, la “collisione sonora” fra le 4 bande cittadine dirette da Alvin Curran e poco più. Un milione di euro poteva essere una leva potente – culturale ed economica – ma non lo fu.
Siena 2015 fu un’occasione persa anche per Massimo Vedovelli e la sua breve ed incomprensibile avventura amministrativa. Stimatissimo Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, aveva lasciato l’incarico per andare a fare l’assessore comunale alla cultura, sapendo di essere più che dimezzato, visto che non aveva voce in capitolo né sulla candidatura di Siena Capitale della cultura 2019, su cui Pierluigi Sacco aveva pieni poteri, né sul Santa Maria della Scala, che il sindaco si era tenuta per sé.
Una scelta poco comprensibile, tanto da far pensare che fosse stato solo un escamotage per lasciare il posto di Rettore a Monica Barni. In più, come se non bastasse, appena arrivato a Palazzo Pubblico – nel novembre 2013 – era stato subito “sfiduciato” dal Pd, che voleva invece dare spazio alla presidente della commissione cultura, Rita Petti. Vedovelli capì subito la situazione, tanto che si cominciò a parlare di sue dimissioni già dopo pochi mesi, ma resistette invece fino ad aprile 2016, pur con la parentesi di un lungo soggiorno di studio in Canada…
Promosse gli “Stati generali della cultura” nel mese di marzo 2015, suscitando qualche speranza, ma fu un fuoco fatuo.
Anche il “sacrificio” di lasciare il posto di Rettore a Monica Barni risultò vano. Dopo pochi mesi lei venne nominata da Enrico Rossi a fare il vicepresidente e l’assessore alla cultura della Regione Toscana.
Perché il detto popolare “nessuno è indispensabile” non è vero. Le sorelle Barni lo sono.
Roberto Guiggiani
(8 – continua)