La sintesi migliore del ballottaggio del giugno 2013 la fece Sergio Profeti su Sunto.biz, coniando uno dei suoi nomignoli più azzeccati: Don Brunetto 930. Inchiodando così, per anni, Bruno Valentini a quella cifra – il numero dei voti ottenuti in più rispetto all’altro candidato Eugenio Neri – così risicata e ben diversa da quelle a cui era abituato il centrosinistra senese, abituato a vincere al primo turno anche candidando un Maurizio Cenni qualsiasi.
Ma la piccola storia senese avrebbe detto che quei 930 voti di differenza non erano così pochi. Da quando, alle elezioni comunali di Bologna 1999, Giorgio Guazzaloca rimontò contro ogni pronostico la candidata Silvia Bartolini, passando da -13 mila voti del primo turno ai + 3 mila del secondo, abbiamo infatti imparato che i ballottaggi sono “bestie” strane. Perché non sai mai chi ritorna a votare, e chi va al mare: fra i tuoi e fra gli altri, fra chi ci crede e chi pensa che sia già persa.
Il ballottaggio senese, reso ancora più drammatico dal fatto che le prime sezioni scrutinate furono quelle in cui Eugenio Neri vinse, dando per ore l’impressione di accumulare un vantaggio incolmabile, ci ha invece insegnato tante cose. La prima è che il centrosinistra senese non può più pensare soltanto ai propri equilibri interni. Valentini era tranquillo, convinto che confermando i voti del primo turno (11.520) avrebbe sicuramente coronato il sogno di essere Sindaco di Siena. Ed in effetti, anche se poi ne prese 500 in più, aveva ragione, perché la rimonta di Neri fu travolgente, da 6.809 a 11.146, ma non tale da avere tanti voti come Valentini al primo turno. Ma fu un rischio che non credo si ripeterà il prossimo anno.
La seconda lezione è che Eugenio Neri si rivelò un candidato vero, uno che ci credeva alla vittoria, e non un comodo perdente come tanti esponenti del centrodestra prima di lui. E non a caso, nonostante le dimissioni da consigliere comunale, mantiene a tutt’oggi un ruolo politico rilevante.
La terza lezione è che al ballottaggio non funzionano le somme fra liste o capobastone. Nel senso che la presenza di qualcuno porta magari 10 voti, ma te ne fa perdere 6 e quindi i conti non tornano. Non si può imbarcare tutti: gli elettori sono selettivi. Quando Neri annunciò a sorpresa che il suo vicesindaco sarebbe stato Alessandro Piccini, che da presidente del consiglio comunale era stato l’abilissimo stratega vittorioso della battaglia consiliare interna al Pd che aveva portato alle dimissioni del sindaco Franco Ceccuzzi, fece arrabbiare moltissimo Enrico Tucci, Laura Vigni, Romolo Semplici e tanti potenziali elettori, che videro svanire tutta la novità della sua candidatura. Se nessuno annuncia mai prima la squadra di governo, c’è un motivo.
Senza quell’annuncio, Neri avrebbe potuto vincere quel ballottaggio? Non si saprà mai. Secondo me, no. Chi voleva buttare giù il Pd andò a votare, fregandosene dell’invito ad andare al mare. Ma è solo un’opinione personale. Tanto è vero che ancora oggi, quattro anni dopo, c’è chi sta a fare i conti per capire se ci furono 931 persone che non credettero alla remuntada.
Roberto Guiggiani
(2-continua)