Il Siena Jazz sta ripartendo alla grande e di questo siamo tutti felici: chi scrive è ben lieta di essere smentita rispetto a ciò che aveva scritto mesi fa riguardo alla grande capacità di Siena di danneggiare tutto ciò che di bello ha. Sì, vorrei essere smentita ogni volta che pronuncio o scrivo questa frase ma ancora non mi pare che questo possa verificarsi. Rispetto però al Siena Jazz, pare che il lavoro accurato e certosino della nuova governance che fa capo da ottobre al presidente Massimo Mazzini, la strada intrapresa potrebbe essere quella giusta. Uomo perbene e mite, Mazzini si è messo a disposizione per guidare quella “pecora nera” che Siena Jazz ha sempre rappresentato per la classe politica e dirigente senese: alzi la mano chi ha un ricordo diverso dal mio, quando un posto in Siena Jazz veniva scansato come la peste perché insomma, non era una poltrona abbastanza visibile, il grande lavoro culturale, musicale e didattico che era stato costruito negli anni dall’associazione voluta da Franco Caroni, non era una spilla abbastanza lucente da mostrare nei salotti. Il lavoro vero, d’altronde, non è mai stato direttamente proporzionale ai poltronifici politici. Ma questa è un’altra storia, no? Poi, un giorno, all’improvviso, Siena Jazz è diventato da cda dove “parcheggiare” nomi scomodi tanto per metterli in un angolo con il ‘contentino’, a realtà di interesse perché, con un po’ di lavoro, si poteva guardare con ottimismo al futuro.
Ma facciamo un passo indietro. Torniamo all’argomento iniziale ricordando in una breve parentesi i fatti: buchi di bilancio ampiamente superiori al milione di euro, un gruppo di manager nominati dall’ex sindaco De Mossi per ripianare il debito e impostare il piano industriale 2023-2027, i dipendenti e i docenti tutti schierati con sindacati e Pd contro questo piano, dimissioni in blocco del suddetto cda e nomina della nuova governance nell’ottobre scorso. Oggi si presenta un bilancio che parla di un utile da 200mila euro e un dimezzamento (euro più, euro meno) del debito che sarebbe passato a 400mila euro (euro più, euro meno) rispetto ai 900mila che Mazzini ha ereditato dalla precedente gestione. Dunque, 10 mesi su 12 sono stati gestiti dal precedente cda, quindi il merito non può essere attribuito alla presente gestione e sinceramente non si capisce il tono con il quale – nella nota ufficiale arrivata da Siena Jazz – si punta il dito contro quel cda.
“Auspichiamo che per il 2024 le cose possano andare ancora meglio e che Siena Jazz possa riuscire a raccogliere fondi con le sue capacità progettuali – ha commentato il presidente Mazzini, specificando che quel “buco di bilancio non era così veritiero, era nettamente inferiore a quanto dichiarato”. Quale altro scenario può aprirsi, allora? Dove sta la verità ? A noi piacerebbe sapere questo, al netto delle polemiche sterili e ci interesserebbe poter dire con assoluta certezza che il Siena Jazz prenderà la giusta strada sia con la modifica dello statuto, sia con il riconoscimento a Ente del terzo settore (Ets) e di qui a Fondazione. Ci interessa di poter dire che finalmente si sta facendo qualcosa di buono per il patrimonio di questa città e che alla fine anche il Siena Jazz, considerata la “pecora nera” che però alla fine tutti vogliono perché una delle poche realtà rimaste che davvero possono avere un valore importante, diventa quell’atto di coraggio con cui reagire a questa etichetta.
L’effetto Pecora Nera, in psicologia, ha tre funzioni principali: preservare l’identità positiva del gruppo, assicurando che i suoi membri rispettino le regole; mostrare agli altri membri cosa succede quando le regole non vengono rispettate; distrarre l’attenzione dei membri del gruppo da altri problemi più pericolosi che possono influenzare profondamente l’identità di gruppo.
Vorremmo dire che dietro ogni pecora nera si nasconde la paura delle pecore bianche.
Katiuscia Vaselli