Non solo il 25 novembre ma partiamo da qui Abbiamo raccolto grazie alla collaborazione con Donna chiama Donna, storie di donne che nel corso degli anni si sono rivolte all’associazione e che hanno avuto il coraggio di dire basta. Per ovvi motivi di privacy e di tutela, le donne protagoniste di queste storie non si firmano con il proprio nome. Anche le foto sono generiche. Ma non è un nome, non è un luogo, non è un volto a fare la differenza. Leggendo queste esperienze di vita, ognuno potrà riconoscerci qualcosa che forse ha vissuto.
Non mi sono mai sentita veramente amata
Comincio così, perché da questo punto che tutto ha avuto origine.
Un’infanzia e un’adolescenza segnata da un vuoto incolmabile, da un’assenza di affetto che mi ha accompagnato per anni.
Da bambina mi rifugiavo nella fantasia e da ragazza mi rifugiavo nei diari, nelle parole e nei sogni di un mondo diverso, in un luogo dove potermi sentire accettata e amata.
Ho sempre sentito di non appartenere a questa famiglia.
Mio padre mi odiava senza motivo, e mia madre mi trattava con una freddezza che mi tagliava il cuore.
A casa non c’erano i giochi, non c’erano le risate che vedevo nei film, le cene erano “normali” quando i miei genitori non urlavano e nessuno parlava, le altre volte invece, mio padre tornava ubriaco e se la prendeva con tutte noi.
Quando tornava ubriaco, mamma glielo faceva notare, a volte neanche finiva di parlare che la prendeva a schiaffi, le urlava contro e lei si rannicchiava in un angolo tra il frigorifero e la cucina.
Io ero lì, immobile.
Dopo il diploma, spinta dal desiderio di indipendenza ho iniziato subito a lavorare, lì ho incontrato Giacomo, un ragazzo affascinante che mi ha conquistata con le sue attenzioni e accecata dalla voglia di scappare dalla mia famiglia e di iniziare una nuova vita, ho accettato di sposarlo dopo pochissimo tempo.
La nascita di nostro figlio Leonardo è stata la gioia più grande della mia vita, ma con il suo arrivo, il matrimonio ha iniziato a scricchiolare. La presenza della mamma di Giacomo sempre più invadente, ha trasformato da subito i suggerimenti in imposizioni e i consigli sono diventati obblighi.
Giacomo pur di non ferirla, feriva me e la sua incapacità a mettere delle distanze ha creato muri altissimi tra noi.
Da un porto sicuro, casa era diventata la mia prigione dorata.
Urlava per ogni cosa, se non riuscivo a pulire, se non avevo cucinato quello che desiderava, se avevo già speso i soldi che mi aveva lasciato.
Ho pensato che davvero ero sbagliata, che probabilmente ero inadatta a tutto, alla fine è stato sempre questo il filo conduttore della mia vita.
Mi sentivo di nuovo soffocare, per anni mi sono sentita scivolare via, ero diventata l’ombra di me stessa.
Non mi sentivo madre, né donna, né moglie, avevo perso me stessa, pezzo dopo pezzo, fino a quando non mi è rimasto altro che il desiderio di respirare aria pura.
Avevo bisogno di ritrovarmi e divorziare è stato l’unico modo per ricominciare.
Il divorzio è stato l’inizio di un nuovo capitolo doloroso ma necessario.
Giacomo non soddisfatto di anni di urla, vessazioni e sofferenze, ha provato in tutti i modi a rendermi nuda, a spogliarmi di tutto anche della dignità.
Sono stati anni dolorosi.
Pian piano ho ricominciato a guardarmi di nuovo allo specchio, ero ingrassata tantissimo e così ho iniziato a prendermi cura di me.
Sono dimagrita, ho iniziato a fare attività fisica e soprattutto ho ripreso a ballare. Il tango è sempre stato la mia passione!
In una milonga ho conosciuto Elvis, un ragazzo un pochino più grande di me.
È simpatico, gentile e mi corteggia spudoratamente, ma io in un periodo di rinascita non ho voglia di iniziare una nuova storia.
Lo rivedo spesso, frequentiamo la stessa milonga.
Mesi più tardi, a seguito delle sue insistenze decido di uscire con lui. Mi ripeto che dopo tutto questo tempo trascorso da sola sono forte e anche se non sono interessata a costruire una vera e propria relazione, non devo essere prevenuta e chissà magari scopro una bella persona.
La frequentazione è durata un paio di mesi, Elvis è diventato subito geloso, possessivo, mi dice che sono così bella che potrei diventare ricca se mi spogliassi in rete. MI dice che ci penserebbe lui, conosce internet benissimo e basterebbero poche foto e qualche video.
Io a quel punto, ho iniziato ad avere paura e gli ho detto che non volevo più vederlo.
Da quel momento è iniziato un altro capitolo, forse il più doloroso e faticoso.
Elvis ha iniziato a seguirmi ovunque, me lo ritrovavo a lavoro, appostato sotto casa, in discoteca. In ogni luogo.
Dopo aver provato invano a cambiare invano le mie abitudini e i miei percorsi, sono andata dai carabinieri.
Avevo bisogno di aiuto, non sapevo cosa fare.
In caserma ho vissuto una situazione che si è ripetuta spesso: non solo non mi credevano, ma sminuivano le mie parole, per loro stavo esagerando e da quel momento è iniziato il mio isolamento.
Ho lasciato il lavoro, non sono andata più a ballare, a mala pena uscivo per fare la spesa, tutto questo sotto gli occhi spaventati di Leonardo. Mio figlio, ha già visto troppe cose brutte, ed io non riesco a fare di meglio.
Ho sbagliato di nuovo.
Una sera Elvis ha scassinato la serratura della porta, è entrato in casa e ha iniziato a picchiarmi, le sue urla mi rompevano i timpani, ero terrorizzata, pensavo di morire, invece la mia vicina ha chiamato la polizia e in quel momento lui è stato portato via ed io sono finita al pronto soccorso.
Le forze dell’ordine mi hanno creduta finalmente, Elvis ha il braccialetto elettronico ed io sono in attesa del processo, sono in attesa di un nuovo capitolo della mia vita.
Sono seguita da una psicoterapeuta, dalle operatrici del centro antiviolenza, da un’avvocata.
La violenza non mi ha distrutta, mi ha reso invincibile.
Non sono più sola.