Sui termini ‘Distretto delle Scienze della Vita’ e ‘Biotecnologia’

Da alcuni anni – nel politically correct cittadino – compare con sempre maggiore frequenza l’espressione verbale ‘Distretto delle Scienze della vita’. Promette un dorato futuro per la Città: una panacea per tutti i mali che il crescente isolamento – aggravato dalla perdita del fattore moltiplicativo ‘Monte’- le infligge.

La retro-traduzione di Biologia (termine scientifico comunemente inteso) in ‘Scienze della Vita’, non è un vezzo provinciale. Serve a includere in baluginanti benefizi regionali anche quegli studiosi (evoluzionisti, sistematici, ecc.) che non possono avere un ruolo nell’innovazione tecnologica, basata sullo sfruttamento di meccanismi biologici.

Ma la Regione Toscana (patria del miglior Volgare) non si ferma qui. Omaggiando la moda di sembrare globali ricorrendo all’inglese, anche quando non serve, ha addirittura tradotto Scienze della Vita in ‘Life Sciences’ (Toscana L.S.). Ha addirittura immaginato – a imitazione della californiana ‘Silicon Valley’una ‘Pharma Valley’.

(Forse qualcuno, confondendo la pronuncia di ‘Ph’ con una ‘F’, ha pensato alle terme di Petriolo).

Luca Ricolfi nel suo ultimo fortunato libro evidenzia il guaio di fondo della cultura Woke: affidare al controllo delle parole, anziché alla sostanza, la soluzione di ogni problema. In effetti, a tale aberrazione si applicherebbe bene un detto della saggezza popolare senese: “Fare come gli antichi, che mangiavano la buccia e buttare via i fichi”. Bucce costose e di inutile nutrizione: come la Siena Biotech e la TlS. Vale a dire, una serie di buche da riempire con lo scavo di altre buche: come il Biotecnopolo, dono elettorale del senatore Letta, per compensare Siena della perdita del Monte.

Rimanendo nel nominalismo, vale la pena fare una piccola divagazione circa l’origine del termine ‘Biotecnologia’. E’ un’innovazione spesso invocata, ma per nulla compresa per quanto riguarda i limiti pratici del suo sviluppo industriale. Lessicalmente, infatti, ‘biotecnologia’è un termine fortunato, perché composto da ‘bio’ (oggi universalmente equiparato a ‘buono’) e da ‘tecnologia’ che evoca l’idea di ‘utile’; quindi: ‘l’utile buono’. Non molti sanno, però, che il termine è stato coniato solo nel 1919. Cioè, molti secoli dopo antichissime tecnologie alimentari – quali la fermentazione alcolica, la caseificazione e la panificazione – che ben rispondono a una rigorosa definizione di biotecnologia, come ‘un insieme di tecniche per la produzione di beni e servizi basate sull’uso di cellule o parti di esse’.(Una definizione meno stringente, riferita a generici ‘fenomeni biologici’, farebbe includere nella Biotecnologia anche la trazione animale e la prostituzione!).

Negli anni ’80 del secolo scorso, l’invenzione delle tecnologie del DNA ricombinante e degli ibridomi ha portato a includere nella Biotecnologia anche vaccini, anticorpi e proteine terapeutiche, tutti argomenti attualmente molto dibattuti,

Il termine fu inventato dall’economista ungherese, Ereky, per classificare una novità: un metodo di produzione dell’acetone, mediante la fermentazione dell’amido. La scoperta si differenziava dalle classiche tecniche di fermentazione, essenzialmente per via del prodotto: ora non più alimentare, ma industriale.
Ne fu l’inventore, il biochimico Chaim Weizman, che lavorava alle dipendenze dell’Ammiragliato britannico. Non a caso, poiché l’acetone era essenziale per preparare la cordite, un esplosivo superiore come carica di lancio per i proiettili della Royal Navy, che così ottenne una supremazia sulle flotte avversarie. Già il 2 novembre del 1917 (quindi un anno prima della fine della guerra), il Governo di Sua Maestà volle riconoscere i meriti dell’inventore, un ardente sionista, con la dichiarazione Balfour nella quale si affermava il diritto per il popolo ebraico a un ‘focolare nazionale’ nei territori dell’antica Palestina, approssimativamente definiti in accordo con gli arabi hascemiti e che sarebbero divenuti protettorato britannico dopo lo smembramento dell’Impero Ottomano, cui erano appartenuti per secoli. Della dichiarazione fu debitamente informato anche Lord Rothschild, presidente del Movimento sionista.

Vi si dichiarava: “Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”.

Quando, il 14 maggio del 1948, in seguito alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite – che approvò il piano di partizione della Palestina – fu proclamato lo Stato d’Israele, Chaim Weizman ne fu eletto primo presidente. In seguito, gli fu intitolato un prestigioso Centro di Ricerca.
I sostenitori woke della causa palestinese – e i pacifisti – dovrebbero quindi ‘bannare’ (bandire) il termine ‘Biotecnologia’ dal vocabolario corrente: per via delle sue origini colonialiste e guerrafondaie e sostituirlo con un termine meno offensivo per la sensibilità degli ‘inclusivisti’ doc.

Paolo Neri