Parliamo di traumi in relazione a cataclismi, a catastrofi naturali. Alla natura si comanda solo ubbidendole: reazioni psichiche e soluzioni terapeutiche.
Da Aristotele in poi, nella cultura occidentale, è prevalso l’assunto che la ragione umana rappresenti la fonte di ogni conoscenza. La logica lineare di stampo razionalista che ne è derivata ha interpretato la realtà come governata da una serie di leggi e principi che sono perfettamente comprensibili con la ragione umana e che coincidono con il pensiero stesso. Ciò, nel corso dei secoli, ha portato l’uomo a convincersi di essere capace di manipolare l’ambiente che lo circonda, fino a tal punto da illudersi di essere capace di controllare anche la natura stessa. Ahimè, come
suggerito da Francis Bacon, alla natura si comanda solo ubbidendole. Terribili terremoti, drammatiche alluvioni o, più genericamente, tutti gli eventi che vengono considerati catastrofi naturali riportano l’uomo sulla terra ridimensionando di molto il nostro raggio d’azione e la nostra illusione di controllo. In molti di questi casi, da un punto di vista psicologico, tra coloro che ne sono coinvolti si parla spesso di trauma e di panico. Il primo può essere inteso come una sorta di ferita nella mente, mentre il secondo come un “tilt” psicofisiologico. Distinguo queste due più frequenti reazioni che si hanno in circostanze di catastrofi naturali in quanto, troppo spesso, vengono confuse
e conseguentemente non trattate correttamente. Di fronte a un evento traumatico il soggetto è esposto, suo malgrado, a una profonda lacerazione tra ciò che “era prima” e ciò che “è dopo”. Le risorse psichiche di cui siamo equipaggiati e le nostre abilità ad adattarsi spesso consentono di integrare questa frattura. Talvolta però ciò non avviene e il soggetto può sviluppare un Disturbo Post-Traumatico da Stress. Chi ne soffre può vivere nel costante tormento del ricordo del trauma stesso, sia di giorno che di notte, vivendo nel presente un passato così pesante che impedisce di proiettarsi nel futuro. In queste circostanze possono essere messe in atto tentate soluzioni volte alla
risoluzione di questi sintomi che, nonostante le buone intenzioni di chi le mette in atto, risultano fallimentari, mantenendo in vita il problema e in alcuni casi aggravandolo. Le più frequenti tentate soluzioni sono il tentativo di controllare i propri pensieri e cancellare l’esperienza traumatica, che paradossalmente porta alla perdita del controllo, l’evitamento di situazioni associabili al trauma, che spandendosi a macchia d’olio porteranno il soggetto a limitare sempre di più la propria vita, e la richiesta di aiuto, rassicurazioni e lamentele, che progressivamente conduce ad una marcata dipendenza dagli altri, vissuti come vere e proprie stampelle. Per cicatrizzare queste ferite della mente e poter andare oltre, in Terapia Breve Strategica, approccio messo a punto da Giorgio Nardone e dai suoi collaboratori presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, si utilizzano strategie e stratagemmi terapeutici efficaci nel 95% dei casi con una efficienza media di 7 sedute, in cui il 50% dei casi non presenta più tracce di sintomi rilevanti già dopo la prima seduta. Per il trattamento di questo disturbo, la principale manovra terapeutica viene definita il romanzo del trauma. Questa consiste nel chiedere al paziente di scrivere, ogni giorno e senza poi rileggerlo, in una sorta di racconto e nella maniera più dettagliata possibile, tutti i ricordi, le immagini, le
sensazioni e i pensieri associati al trauma. Il paziente dovrà consegnare tutti i suoi scritti al terapeuta. Parallelamente, si prescrive di evitare di parlare con terzi della traumatica esperienza vissuta. La scrittura, passandoci attraverso, consente di venire fuori dalla gabbia mentale nella quale ci sentiamo imprigionati mentre, il non proferire parola consente di liberare il peso del passato dalle relazioni presenti. Differente trattamento necessita invece la reazione di panico. Il Disturbo da Attacchi di Panico, considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la patologia mentale più frequente in occidente, si caratterizza da un tilt psicofisiologico, connotato da paura e controllo delle reazioni fisiche, quali tachicardia, vertigini, sensazione di congelamento, che, a sua volta, fa
perdere il controllo portando il soggetto ad essere dipendente. Il panico può essere innescato dal tentativo stesso di voler ridurre le sensazioni fisiche, dalla paura di morire o di perdere il controllo.
Gli attacchi possono essere generalizzati e possono esplodere ovunque, o focalizzati, nei quali una condizione esterna porta al panico interno. Anche in questo caso è possibile guidare le persone a uscire dalle trappole che si sono costruite e nelle quali sono cadute. Attraverso una manovra terapeutica, ideata da Giorgio Nardone, che si chiama la “peggiore fantasia”, è possibile insegnare alle persone che hanno un Disturbo da Attacchi di Panico ad alimentare la paura volontariamente, in altre parole, andare a caccia dei propri fantasmi proprio per farli svanire toccandoli. Guidando il soggetto a infliggersi volontariamente le più terrificanti immagini, la paura stessa verrà portata a
saturazione e, paradossalmente, attraverso l’esasperazione di ciò che si teme, la mente giungerà a rilassarsi anziché giungere al “tilt” psicofisiologico. Nell’arte dello stratagemma, “spegnere il fuoco, aggiungendo la legna”. L’effetto che tutto ciò produrrà nel soggetto sarà quello di poter gestire ciò che prima veniva subito passivamente. Questa prescrizione, anch’essa dimostratasi efficace nel 95% dei casi trattati, interviene, attraverso l’effetto paradosso, sul circolo vizioso alimentato dal cercare di evitare la paura, che a sua volta genera la paura stessa. Del resto, già gli
antichi sumeri scrivevano: “La paura evitata diventa timor panico, la paura affrontata si trasforma in coraggio”.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo e Dottore di Ricerca in Psicologia
Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica
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