Era una delle battute più famose di Ettore Petrolini: “Ho fatto un terribile scherzo alle Ferrovie. Ho acquistato un biglietto andata e ritorno Roma-Firenze e poi non sono tornato”.
Allo stesso modo possiamo fare anche noi un terribile scherzo ad Amadeus e Fiorello: andare a Sanremo, ma dopo il 17 febbraio, quando il Festival della canzone italiana sarà ormai finito nella nostra flebile memoria e negli archivi – stupendi – delle Teche Rai.
Magari ripercorrendo un antico itinerario turistico che ritrovo in una Guida Touring Club di 40 anni fa, e dunque con quel sapore vintage che ben si adatta a questa edizione n° 70 del Festival, che tanto amiamo o detestiamo, ma che inesorabilmente ci assorbe l’attenzione (anche e soprattutto sui social) per una settimana ogni anno.
Una guida fatta quando ancora non si parlava di “turismo esperenziale” o delle “10 cose da fare gratis”, ma si andava direttamente al sodo del patrimonio culturale, artistico e naturale della nostra bella Italia. Le descrizioni erano ancora quelle legate ai turisti inglesi che avevano scelto la Riviera dei Fiori come luogo di “villeggiatura” di lusso, dal clima gradevole anche in inverno, 150 anni prima che si iniziasse a parlare di riscaldamento globale e di un inverno che sembra non esistere più.
Ecco che allora si parte proprio da Sanremo, con la Villa di Alfred Nobe (che il famoso inventore della dinamite e fondatore del Premio che porta il suo nome aveva scelto come proprio “nido”), il borgo storico della Pigna e la Cattedrale, per poi dirigersi prima ad est e poi ad ovest. Verso est, per una visita ad Arma di Taggia, Imperia e soprattutto quel gioiello assoluto che è Cervo, che meritava allora l’aggettivo di borgo “pittoresco”, ormai non più usato, e che oggi posso invece definire meraviglioso, per la sua posizione a picco sul mare, e gli edifici in stile barocco.
Verso ovest, invece, per raggiungere prima Bordighera (altro gioiello di eleganza) e poi Ventimiglia, che era la porta della “tentazione”, ossia di quella Francia, cui si poteva accedere solo avendo in tasca il passaporto ed i franchi francesi. E che in poche decine di chilometri permetteva di raggiungere Mentone, Montecarlo, Nizza e Cannes. Ovvero i luoghi del gioco e dell’amore romantico e disinibito, a facile portata di mano anche per noi italiani.
Anche oggi che le cose sono cambiate e la frontiera non esiste più – miracolo sempre benedetto dell’Unione Europea, dell’Euro e del trattato di Schengen – la chiave della nostalgia non ha perso nulla del proprio valore e – così almeno mi piace pensare – non solo per la nostra generazione di ultra-cinquantenni.
La vera bellezza della “Liguria oltre l’autostrada”, come la definì Osvaldo Bevilacqua in una delle sue trasmissioni pioneristiche di “Sereno Variabile” è doppia: guardarla come è oggi, pensarla come è stata.
Roberto Guiggiani