Vi dico la verità: per un film tedesco di quasi tre ore (!) e di una giovane regista che non conoscevo… mi sono dovuta un po’ applicare nell’autoconvincimento per andare a vedere di cosa si trattasse. Ma, ahimè, era una promessa, e dalle mie parti, in alcuni casi – solo affettivi – “ogni promessa è debito”. Mi sono, quindi, appropinquata con sforzo e, mio malgrado, al vecchio e caro Cinema Pendola… a patto, però, di una buona pizza da offrirmi nel caso il film non mi fosse piaciuto!
Un insegnante di musica tedesco, Winfried /Peter Simonischek, morto l’amato cane e ritiratosi il suo ultimo studente, decide di partire alla volta di Bucarest e fare una sorpresa alla figlia Ines/Sandra Huller, dirigente in una multinazionale petrolifera, classica donna in carriera con in testa le odierne delocalizzazioni e riorganizzatrice glaciale della forza lavoro…
Un sognatore lui, una tagliateste lei… dopo diversi anni di distanza, Winfried si presenterà alla figlia attraverso burleschi travestimenti sotto le mentite spoglie di Toni Erdmann: con denti finti, oscena parrucca sintetica e barba (molto) sfatta, giocherà con lei a manager di successo, uomo d’affari e ambasciatore tedesco in Romania…
Dopo aver cercato di allontanarlo, Ines arriverà a prendere consapevolezza che, forse, qualcosa nella sua vita fatta solo di lavoro, sesso approssimato, amicizie interessate e un po’ di coca finale, proprio non va. Una stakanovista (o come si direbbe oggi, una workhaolic!) abbastanza insipida, insomma. La pellicola va avanti con equivoci, inganni, maschere e travestimenti e si ride molto… ma non è un riso solo da commedia leggera, purtroppo.
Al lessico aziendale di Ines fatto di termini come know-how, performance, feedback, agreement (di cui anche noi ancora non capiamo soprattutto il perché dell’esistenza considerata la nostra impeccabile lingua!) assistiamo gradualmente al lessico opposto di Winfried:, divertimento, felicità, leggerezza….parole che la figlia non sembra nemmeno ricordare…
“Sei un essere umano tu?” chiede il padre alla figlia, la quale, di contro, viene definita dal suo capo una belva, un’ottima belva, in merito all’efficienza professionale, ossia come al meglio sfruttare i lavoratori (le persone…) in una azienda….
Paradossalmente e a piccoli passi, sembra che Ines riesca a stabilire un rapporto amicale più con questo strambo alter ego che non con il padre vero e proprio… e sembra, in fin dei conti, stare anche al gioco: quando Erdmann si presenta inaspettatamente alle sue amiche o ai suoi colleghi come un coach free lance, lei lo asseconda; quando, in altre situazioni, le si accosta e la introduce come la sua segretaria, Ines non fa nemmeno una piega. Padre anche fisicamente ingombrante, “voluminoso” ed eternamente immaturo che contrasta con la figura eccessivamente precisa e minuta di Ines…
Questa commedia tedesca è il tentativo estremo di un genitore anarchico, istrionico e bambinone (lo splendido Peter Simonischek è, guarda caso, un attore di teatro…), di recuperare un rapporto ormai inaridito da anni di silenzi più che da distanze geografiche. Si va avanti quasi tre ore a ritmo di gag e situazioni anche grottesche e esilaranti. Winfried-Toni vorrebbe che Ines comprendesse per cosa vale la pena vivere, prima che il lavoro dal quale si è lasciata travolgere azzeri definitivamente tutto ciò che le sta attorno continuando ad impoverire le sue giornate.. .
La bella forza di questa pellicola, secondo noi, sta però in questo: è divertente ma non si sforza di esserlo. Il montaggio, che individua puntigliosamente i tempi, genera una comicità “controllata” con una regia che sa bene quanto e quando bisogna tagliare, come il karaoke sulle note di Whitney Huston o il party nudista finale di cui non riveliamo proprio nulla ma che è, indubbiamente il passaggio più brillante dell’intero film, in un crescendo quasi surreale…
Non possiamo però, a questo punto, non evidenziare ciò che politicamente è l’anello principale della sceneggiatura: la giovane regista tedesca riesce, tramite un personaggio decisamente anarchico, a sovvertire un mondo tutto fasullo. E che Toni Erdmann lo faccia consciamente o meno, questo allo spettatore non interessa. Egli riuscirà con i suoi comportamenti anormali a far scoppiare quel mondo statico in cui vivono le classi dirigenti di oggi “cosmopolite” e “moderne” (i finanzieri, i professori, i politici ecc ecc…..) ma che del vero mondo, quello umano, non capiscono proprio nulla….
Il loro è solo un mondo falso, con necessità appositamente inventate, come gli osceni e abnormi centri commerciali sempre deserti e che provocano soltanto tristissimi vuoti. La regista vuol farci ripartire dall’umano che abbiamo dimenticato e, per riporlo al centro, non ci mette davanti un eroico personaggio, non sceglie il coerente e il coraggioso ad ogni costo, ma crea un personaggio, certo originale, ma anche, a tratti, sgradevole, imprevedibile e sentimentale che manda in pezzi quel mondo ben patinato e sempre uguale a se stesso, sempre così spaventosamente e noiosamente prevedibile!
Una scena, forse più di altre, ci da il senso di come questo sia un film politico: Winfried chiede ad Ines cosa significhi outsourcing. La figlia gli offre una spiegazione della sua reale utilità: se si appaltano ad aziende esterne alcuni servizi, si fa in modo di dribblare sulle reali responsabilità dei licenziamenti che da lì a poco saranno effettuati. Ecco il capitalismo dei finanzieri, dei banchieri, dei politici: saper “intrallazzare” per bene (a carte ovviamente coperte…), saper continuare a farlo ed ergersi poi a simbolo di un’economia e di una politica pulita e trasparente…… Film, dunque, che è si una indagine sui rapporti insoluti tra un padre e una figlia, ma anche una analisi descrittiva piuttosto spietata dell’inganno capitalistico in cui ci fanno vivere…
E per concludere… visto il film, persa la scommessa! All’uscita dalla sala mi ero divertita talmente tanto e mi era piaciuto talmente tanto che la buona pizza, alla fine, l’ho dovuta offrire io! Ma va bene così…..
Giada Infante