Dal 21 febbraio, giorno in cui a Codogno è scoppiato il primo caso di coronavirus ad oggi, sembra esser passato un tempo lunghissimo: la percezione delle ore e dei giorni si è amplificata, e l’emotività ha trovato ampio terreno anche nei più razionali di noi. Diventa difficile mantenere lucidità e prospettiva generale quando l’interrogativo comune è volere una risposta certa alla domanda semplice d’istinto, ma complessa nella sua essenza: quanto durerà ancora l’emergenza sanitaria in corso?
Se prendiamo atto che le nostre decisioni vengono condizionate fortemente dalla nostra percezione, in questo frangente potrebbero essere frutto della distorsione in atto, cioè del soffermarci sulla mole e sugli effetti di una serie di misure che fino a ieri non avevamo messo in conto individualmente, di cui non avevamo memoria, che non sappiamo se saranno sufficienti ad arginare il problema in questa fase di gestione transitoria.
Lungi dal voler dispensare consigli, vorrei provare a mettere ordine, per dare un contributo in chiave economica, in un momento di resistenza e di prove così severe. Partiamo da un quadro di tipo macro per arrivare poi a esaminare il comportamento singolo, dato che spesso, esso, è l’esito delle scelte fatte a monte. L’obiettivo è spostare il nostro focus su cosa possiamo fare, oltre a quanto il senso civico e una ritrovata responsabilità sociale, dovrebbero imporci di fare già adesso.
Sono state varate misure straordinarie di spesa pubblica che per ora sono di breve termine, servono cioè a rispondere alla crisi, e devono supportare il sistema sanitario, fornire liquidità ad imprese e banche, sostenere i lavoratori che resteranno temporaneamente a casa, per evitare licenziamenti. Se saranno sufficienti dipenderà dall’evoluzione del contagio che speriamo rallenti significativamente; ciò che dobbiamo sapere è che se non lo saranno, ne chiederemo di nuove, in quanto vale, in questa situazione straordinaria, la regola dell’eccezione e, a nessuno, in Europa conviene non adottarla.
Rimanendo a livello macro, il decreto emanato dal Governo va nella direzione di contenere il virus dal momento che una sua espansione è un male per tutti: se aumenta la domanda di terapia intensiva e l’offerta disponibile non riesce a soddisfarla, bisogna intervenire sulla produzione; tuttavia, l’allineamento tra domanda e offerta non dipende solo dalle risorse disponibili, ma è conseguenza dei tempi di produzione che non riescono a matcharsi con una richiesta di tipo esponenziale. Questo vale per qualsiasi domanda che supera esponenzialmente l’offerta disponibile, dal cibo alla necessità di cure e medicine, dal bisogno di personale specializzato alla semplice assistenza domiciliare. Nessuno è in grado di conteggiare ancora gli impatti numerici sull’economia, ma possiamo affermare che più tempo durerà l’emergenza, più importanti saranno tali impatti. Già li vediamo: tutto si è fermato, dietro a ogni serranda abbassata, a uno spettacolo annullato, a città vuote, ci sono le persone che lavorano, che producono e, quindi, utili che vengono a mancare per le aziende e i settori che tali persone rappresentano. Nell’immediato le più colpite sono le aziende di trasporto, le linee aeree, gli aeroporti, i tour operator, i servizi al pubblico in generale, ristoranti, agriturismi, alberghi, commercianti, e anche settori come il lusso che avevano sempre tenuto, in passato; in sostanza tutti i servizi che rappresentano gran parte del PIL, perché le restrizioni imposte impattano soprattutto sui consumi, ridotti drasticamente non partecipando più alla vita sociale. Diventa evidente, quindi, che le decisioni macro, in questa fase determineranno rallentamento dell’economia e recessione.
Se siamo d’accordo che non si possa fare diversamente, allo stesso modo, è lo Stato o la Banca Centrale, che devono intervenire con i sostegni di politica economica e di politica fiscale necessari, perché il singolo non ha margine di manovra. Di conseguenza, la BCE non può certo pretendere austerità e rispetto del patto di stabilità; anzi, dovrebbe porsi come prestatore di ultima istanza sul mercato se serve, per aiutare gli Stati membri che non hanno gli strumenti economici per gestire la crisi, avendo ceduto la loro sovranità, ed evitare speculazioni sui titoli di Stato e costi sociali a carico della collettività.
Gli utili delle aziende, se si contiene l’emergenza, potrebbero riprendere nella seconda parte dell’anno.
Allora, cosa possiamo aspettarci ed augurarci?
In primo luogo che chi ha in mano politica monetaria, fiscale ed economica, se nei prossimi giorni l’attuale percezione di effetto transitorio del coronavirus dovesse passare a “meno transitorio”, intervengano in modo massiccio con misure di stimolo di più lungo respiro e non di breve termine. Così come che le Associazioni di categoria quali l’Abi, la Confcommercio, la Confesercenti e tutte quelle che hanno peso nello scacchiere difendano e tutelino le imprese, le famiglie, e i consumatori, chiedendo interventi ad hoc. Che le Banche stesse, recuperino la fiducia delle persone, stanziando risorse o misure straordinarie per garantire la liquidità a chi ne ha bisogno, pur dovendo fare uno sforzo di bilancio.
Cosa possiamo fare, invece, noi? Possiamo utilizzare questo tempo che ci è dato al meglio, per noi e per gli altri. Rivediamo le nostre abitudini in funzione del bene comune, adottiamo le indicazioni ricevute nel rispetto dei più fragili, comportiamoci economicamente in modo razionale. Le merci circolano, molte attività si possono svolgere in modalità smart e agile; utilizziamo il tempo per progettare e non far rallentare la produttività per quello che possiamo; se con meno consumi riusciamo a risparmiare, mettiamo da parte, spenderemo domani, quando tornerà il sole per tutti.
Portiamo ogni giorno a casa quello che questa prova ci ha insegnato, che magari è sempre bene avere una scorta monetaria per far fronte agli imprevisti, oltre che la scorta della spesa e che il tempo non passato con chi amiamo non tornerà mai indietro. Non vendiamo i titoli in portafoglio sull’onda del panico senza alcuna logica, ma confrontiamoci con i nostri consulenti, e manteniamo fede agli obiettivi stabiliti.
Guardiamo avanti, che sembra scontato, ma questo è l’unico ingrediente che funziona sempre, perché il mondo non finirà, ma possiamo renderlo migliore se non pensiamo solo a noi stessi. Può darsi che reimpareremo a fare i genitori, i figli, le zie, come nel mio caso, gli amici veri, perché basta un pensiero o una telefonata a volte, e ieri, spesso, non avevamo il tempo di farlo.
Se le cose peggiorano a breve dobbiamo essere vigili e pronti, non spaventati o incauti e pianificare le soluzioni.
Non pensiamo a quello che ci manca e che non possiamo fare, ma a ciò avevamo dimenticato di poter fare.
Concedetemi un pensiero per tutti coloro che malati, oggi in questa situazione, non possono avere chi amano accanto e sono soli. Facciamo in modo, con i nostri comportamenti virtuosi, che domani siano sempre di meno, fino a scomparire.
Poi concedetemi un sentito grazie a chi, in ogni forma e luogo, sta lavorando per la parte che ha in carico e, non sente la fatica, o il sacrificio perché non vuole fermarsi, ma esserci.
Maria Luisa Visione