“Le parole sono come pallottole” suggeriva il logico Wittgenstein, per questo motivo dobbiamo farne un uso molto accurato se non vogliamo inconsapevolmente ferire il nostro partner o noi stessi. Quando parliamo di comunicazione in relazioni con persone per noi importanti, dovremo sempre ricordare che non esiste un vincitore e un vinto, come nei giochi individuali tipo il tennis, ma si vince o si perde entrambi, proprio come nei giochi di squadra. A tal proposito, quasi sempre, non è sufficiente avere buone intenzioni per realizzare buone relazioni. E’ perciò fondamentale utilizzare le giuste modalità comunicative, se non vogliamo che i nostri copioni diventino dei veri e propri veleni relazionali. Qual è uno trai più diffusi e subdoli errori comunicativi che si annida anche nelle coppie apparentemente più armoniche? Stiamo parlando di un paradosso, più nello specifico del paradosso che attuiamo nel momento in cui diciamo all’altro frasi il cui significato potrebbe essere riassumibile con “so meglio io di te che cosa provi”. Immaginate una moglie chiede al marito per quale motivo è così arrabbiato. Il marito risponde di non esserlo e la moglie replica che in realtà lui è arrabbiato, si vede chiaramente, e non ha alcun motivo di nasconderlo. Per quanto il marito neghi, la moglie replicherà che a lei non sfugge niente. Alla fine, ben comprensibilmente il marito urlerà di non essere arrabbiato, realizzando però la profezia lanciata dalla moglie stessa che, vista la reazione del marito, rafforzerà la sua iniziale confessione. Che cosa è successo? Come capita spesso, è successo che uno dei due partner si mette in testa qualcosa rispetto a ciò che pensa o prova l’altro e, cercandone conferma, proprio perchè chi cerca trova, finisce per crearla, realizzando ciò che inizialmente era una profezia. Se volgiamo evitare di dar vita a profezie velenose, come suggerito da Giorgio Nardone, direttore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, il primo passo da fare è quello di domandare piuttosto che sentenziare. Molto meglio chiedere: “Mi sembri arrabbiato, vedo giusto?”, “Ho l’impressione che tu non sia così allegro come mostri, ma potei sbagliarmi…”, “Correggimi se sbaglio, sei offeso per qualcosa o è una mia paranoia?”. Questi esempi possono essere considerati modi per permettere all’altro di rimanere proprietario dei propri stati d’animo e decidere se confermare o meno la percezione di chi domanda. Solitamente poi, di fronte a domande poco intrusive, una persona decide spontaneamente di dichiarare il proprio stato d’animo, permettendo all’altra di capire meglio, senza generare effetti collaterali. Capiamo bene che, a volte, come diceva Oscar Wilde, è proprio con le migliori intenzioni, che otteniamo i peggiori risultati. I problemi relazionali di coppia sono una delle prove più evidenti. L’esperienza relazionale presupporrebbe l’essere spontanei. Quando al contrario, vogliamo rendere volontario ciò che per sua natura è spontaneo, otteniamo l’opposto, cioè l’inibizione del nostro istinto, cadendo in un altro
paradosso: il paradosso del “sii spontaneo”. Frasi del tipo “Dovresti aver voglia di me, non perché te lo chiedo io, ma perché ti dovrebbe venire spontaneo”, “Dovresti essere felice, io ti do tutto, non ti faccio mancare niente”, pongono il partner stesso in una situazione paradossale: chiunque di noi si sforzasse di “avere voglia” di qualcosa, otterrebbe solo un effetto contrario. E’ proprio la richiesta di provare a comando qualcosa che per sua natura non può che essere spontaneo, ciò che finisce inesorabilmente per bloccarlo ancora di più. Amore, felicità, desiderio sessuale non possono prodursi a comando, sia che l’ingiunzione venga da noi che da altri. Al contrario, sforzarsi di provare certe emozioni e certi stati d’animo finisce per produrre inevitabilmente l’effetto opposto: senso di inadeguatezza, tristezza, irritazione, apatia, senso di colpa. In altre parole, potremmo dire che l’armonia di coppia nel suo insieme, è talvolta avvelenata da errori nel nostro linguaggio sia verbale che non verbale. Kierkegaard scrisse: “Noi siamo condannati a essere liberi”, a scegliere e a essere responsabili delle nostre scelte come dei nostri possibili errori. Ciò significa assumersi la responsabilità di ciò che facciamo ed essere anche disposti a correre il rischio di perdere il partner, lasciando all’altro la libertà di sceglierci a sua volta. Solo così possiamo offrirci la possibilità di costruire una relazione sana e di correggere eventualmente i nostri errori. I nostri partner possiamo amarli, ma non costringerli ai nostri pensieri.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo
Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica di Arezzo Sessuologo e Dottore di Ricerca in Psicologia
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