Da quando i social media hanno assunto il ruolo dominante, per non dire invadente, che attualmente ricoprono nella vita della maggior parte delle persone, ogni giorno sono in milioni a pubblicare commenti, parlare dei propri stati (d’animo), condividere in modo esibizionistico pezzi della propria vita privata, spiare voyeuristicamente l’altrui e commentarla. Non raramente molti di questi commenti tendono ad esprimere rabbia, critiche e indignazione. Talvolta l’indignazione e la rabbia fanno un salto qualitativo e diventano velate e talvolta esplicite manifestazioni di aggressività verbale nei confronti di personaggi più o meno pubblici, senza esclusione di colpi. Tra i personaggi pubblici sono generalmente coinvolti politici, rappresentanti delle istituzioni, donne e uomini delle spettacolo, tanto per citare alcune categorie. L’aggressività verbale, teniamolo ben a mente, non è meno dannosa e pericolosa di quella fisica. “Le parole sono come pallottole” diceva il filosofo Ludwig Wittgenstein, perché sapeva bene che la potenza della parola è molto energica e ha la capacità di poter colpire e affondare. Dobbiamo pertanto farne un uso molto accurato. Questi affondi possono variare da espressioni di disgusto e disprezzo fino a vere e proprie calunnie, minacce e manifestazioni di odio. Talvolta queste manifestazioni di violenza verbale hanno la potenza di creare un vero e proprio effetto contagio in rete: condivise da tanti altri utenti, generano approvazione e determinano altrettanti commenti violenti di altri utenti. L’effetto valanga generato assume le caratteristiche di una vera e propria ondata di commenti aggressivi e violenza verbale. Com’è che a così tante persone, i così detti leoni da tastiera, spesso conigli nella vita reale, riesce esprimere con così tanta facilità questa aggressività? Anche se in un social ci presentiamo con il nostro nome e cognome, di fatto, protetti dallo schermo, è come se ci sentissimo “un po’ più” anonimi rispetto all’essere in presenza. Questa sorta di distorsione percettiva può generare un processo di deumanizzazione. Pensate sia la stessa cosa lasciare la fidanzata tramite whatsapp, rispetto a lasciala guardandola negli occhi, mentre a lei cadono le lacrime, e mentre a te tremano le gambe? Decisamente no. Post, tweet e commenti dal contenuto aggressivo inoltre, non solo generano a loro volta altrettanta aggressività ma polarizzano le opinioni e gli atteggiamenti delle persone, riducendo al minimo le capacità di elaborazione cognitiva. Dunque, tutti leoni, poco umani e meno pensanti online…
Jacopo Grisolaghi – Psicologo e Psicoterapeuta – www.jacopogrisolaghi.com