“Il sentimento del pudore consiste in un ritorno dell’individuo su se stesso, volto a proteggere il proprio sé profondo dalla sfera pubblica”. (M.Sheler)
Il pudore, una parola ormai in disuso che da anni sta subendo un processo di trasformazione nei suoi opposti sfacciataggine, sfrontatezza, spudoratezza, da quando, con grande abilità, hanno fatto entrare nelle nostre case programmi come Il Grande Fratello e altri format fino ad arrivare all’uso ed abuso di Facebook e di tutti i social network.
L’era del progresso, della massificazione, della globalizzazione, del consumismo sta purtroppo portando verso una perdita d’identità, del senso più profondo della vita, sovvertendo quelli che fino ad oggi erano considerati valori, “insegnando” che importante è l’apparire, ciò che conta è l’esteriorità e non l’interiorità, non l’unicità di ciascun individuo perdendo sempre di più il contatto con la parte più profonda di noi, con i nostri sentimenti arrivando fino ad un vero e proprio analfabetismo emotivo.
Gli adolescenti sono quelli più esposti; oggi con la capillare diffusione di pc, Adsl, Wi-Fi e smartphone i ragazzi hanno accesso al mondo di internet ogni volta che lo desiderano e in ogni momento della giornata, che siano a scuola, a cena con gli amici, a casa, mentre camminano, poco importa, l’importante è connettersi. Un’età questa fatta di insicurezze, di ricerca della propria identità, di voglia di sperimentare, di mettersi alla prova, di turbamenti emotivi ed ecco che si propone un gioco molto attraente e facilmente fruibile: Facebook; si assiste così alla creazione di profili più o meno veritieri, alla condivisione di foto che possibilmente diano l’immagine migliore di sé, al donare le proprie emozioni, quello che abbiamo di più intimo ad una comunità virtuale di “amici” che nella maggior parte dei casi, nella vita reale non sono tali. E così l’autostima, il credere in se stessi, il darsi valore, l’amarsi si costruisce sulla base dei like ricevuti, del numero sempre crescente di persone che ti chiedono l’amicizia con un esito purtroppo infelice per l’adolescente che imparerà a costruirsi un’immagine di se che non corrisponde alla realtà, facendo credere e credendo di essere quello che in realtà non è, cercando di impressionare, di sembrare sempre all’altezza delle situazioni, simpatico, estroverso, alla moda, nascondendo non tanto agli altri quanto a se stesso le sue emozioni più vere fatte anche di paura, vergogna, insicurezza, tristezza, rabbia, invidia, tutto ciò che la società oggi etichetta come negativo. Tutto questo sta portando ad uno scollamento dalla realtà, a tal punto che la finzione diventa essa stessa realtà; i ragazzi possono tendere, nei casi più gravi,a sviluppare una dipendenza da social network con stati ansiosi, isolamento fino a veri e propri stati depressivi.
Purtroppo quello che a cui stiamo assistendo è un abbassamento della fascia di età in cui si entra in contatto con il mondo di internet; ormai i bambini già dai tre anni sono circondati da schermi, dalla televisione, ai computer, ai telefonini, anche nelle situazioni di maggiore povertà il telefonino non manca mai e possono sviluppare un grande desiderio verso questo oggetto con cui si trovano a confrontarsi prima ancora di iniziare a camminare; sperimentano da subito la sua potenza, che al solo suonare interrompe ogni attenzione e conversazione e porta altrove chi lo possiede. I bambini hanno sempre dovuto combattere contro la distrazione degli adulti che non li stanno a sentire, oggi sono costretti a fare i conti con una nuova forma di disconnessione adulta che porta loro a rivendicare il diritto di possedere distrazioni altrettanto potenti che sono in grado di ammutolire anche il più vivace tra i piccoli andando così incontro alle esigenze di genitori sempre più occupati a fare altro.
Che cosa possiamo fare? Sicuramente non vietare ma eventualmente limitare l’uso di questi oggetti offrendo delle alternative; i bambini di oggi sono iper protetti, poco ascoltati, non si sporcano più, stanno perdendo la bellezza del gioco simbolico, il rendere vivi oggetti inanimati, l’esplorare, il misurarsi con i propri limiti perché purtroppo iper bombardati da videogiochi, TV, telefonini, non viene permesso loro di allontanarsi, nascondersi, di fare qualcosa senza essere controllati; i bambini hanno bisogno anche di vuoto per nutrirsi, hanno bisogno di adulti capaci di opporsi alle semplificazioni e ai modi standardizzati di intendere il gioco e il tempo libero. Hanno bisogno di tornare in contatto con quello che li circonda riabilitando tutti sensi, non possiamo accettare che il principale canale di relazione con il mondo passi attraverso uno schermo e che il senso del tatto, forse il più antico e arcaico che abbiamo, si riduca ad un semplice touchscreen, asettico e privo di calore.
Dott.ssa Monica Perozzi
medico chirurgo – psicoterapeuta