Avevamo lasciato Aster333 alle prese con la BlackTravell e il ritorno da un sogno fin troppo reale. Cos’è questa strana agenzia? Scopriamolo nel secondo capitolo.
Avete mai pensato che voi potreste non essere voi? Che voi potreste essere qualcun altro e che proprio qualcun altro potrebbe essere voi? Avete mai pensato che voi potreste essere non solo voi? E che qualcuno potrebbe non essere affatto?!
La sottile arte della filosofia, un gioco di parole e di deduzioni, una serie di ipotesi una accavallata sull’altra in un’apparente mancanza di senso… e se, invece, di senso ne avesse fin troppo?! E se tutti i “se” e tutti i “ma” fossero invece certezze?
Il sabato era il giorno preferito di Aster333, e lo era per il semplice fatto che il sabato era vacanza e lei la passava sempre al solito posto, la BlackTravell. Quella compagnia era la migliore che esistesse in città, situata fra il Ponte 4.0 e la galleria verso la stratosfera, dove molti dei turisti erano soliti salire quando giungevano a New New York, in Ameropa.
Era una delle attrazioni più caratteristiche, c’era chi affermava che nei periodi in cui il Sole era più vicino alla Terra, da quel punto fosse possibile osservare nettamente le faglie che si erano scontrate secoli prima, attaccando i due continenti fino ad allora separati.
Quello dove si trovava l’agenzia di viaggi era uno dei quartieri più costosi della zona e la ragazza era fiera di potersi permettere regolari viaggi di relax che l’aiutassero a staccare dopo cinque giorni di lavoro intenso: 12 ore giornaliere di archiviazione.
Ma, come detto, finalmente il sabato era giunto e le gambe di lei già pregustavano quel periodo di immobilità apparente che le avrebbe aspettate per le 24 ore successive. Non aveva fretta, era in anticipo, lei era sempre in anticipo sui propri appuntamenti, abituata a vivere in un mondo dove il ritardo non esisteva, e la puntualità era il limite massimo di permissione che si potesse concedere agli altri.
Le autovetture sfrecciavano attorno a lei, gli autobus aleggiavano poco distanti dalla sua testa, giusto un metro o due, bisognosi di rimanere vicini al suolo per permettere la salita e discesa dei passeggeri, mentre i mezzi privati si trovavano più in alto, verso i cinque metri, così da poter scivolare nell’aria con più rapidità di quelli pubblici.
Nonostante tutte queste possibilità, però, la giovane in carriera preferiva muoversi con le grandi bici che popolavano quel sottobosco tecnologico. Esse si muovevano tranquille per le vecchie strade della città, coperte da un sottile strato di gomma-cemento, più lente certo ma anche più rilassanti, l’ideale per chi come lei aveva terminato di lavorare e desiderava solo un’uscita all’aria aperta.
Beh, per quanto la cupola riuscisse a far apparire ancora quell’atmosfera come quella che si doveva essere respirata all’aperto secoli e secoli prima.
In ciò, la mente della giovane donna stava sfogliando mentalmente il catalogo delle offerte che il proprio agente di fiducia le aveva impiantato dietro l’orecchio destro. Le destinazioni si erano incrementate rispetto a quelle che aveva potuto esaminare la settimana prima, ma ancora non era sicura se preferisse ributtarsi su un passato presente, tipo quando le due placche terrestri si erano unite, o se invece andare indietro, fino alla seconda preistoria, quando gli inventori del teatro decantavano nella vecchia Grecia le proprie opere.
Le labbra sottili di Aster333 si arricciarono sotto il casco di vetro che indossava, manifestando quanto ancora l’indecisione fosse diffusa nella sua testa, fra una pedalata e l’altra.
Il suo viaggio si sarebbe dovuto compiere dopo almeno un’ora, ma il fatto fu che esso non si compì mai, o forse si anticipò. Questo lei non poteva saperlo, e in effetti nemmeno noi, ma quando i fari di una macchina puntarono dall’alto verso di lei fu ben chiaro un altro concetto : l’avrebbe colpita in pieno.
I piedi della ragazza si bloccarono sui pedali, come se la luce accecante dei fari avesse preso il completo controllo dei suoi arti, bloccandola nel punto esatto in cui uno dei mezzi di locomozione che si trovavano più distanti da lei si stava andando ad impattare, facendo vibrare l’aria intorno a lui e suscitando lo spostamento delle foglie negli alberi finti piantati per addobbare la pista ciclabile, provocando la brusca frenata della linea 3034 che stava giusto in quel momento giungendo alla propria fermata.
Le palpebre di Aster333 si abbassarono di botto, stringendosi sui suoi occhi e venendo coperte dalle mani che avevano lasciato un manubrio ormai inutile per la sua tragica e disperata situazione.
L’esplosione che seguì all’impatto fu così fragorosa che addirittura dalle finestre degli uffici direzionali della BlackTravell qualcuno si affacciò a controllare la situazione.
Avete mai pensato che voi potreste non essere voi? Che voi potreste essere qualcun altro e che proprio qualcun altro potrebbe essere voi? Avete mai pensato che voi potreste essere non solo voi? E che qualcuno potrebbe non essere affatto?!
Quando provò a muovere le proprie dita sugli occhi, incredibilmente, la ragazza sentì i propri muscoli e nervi reagire, facendo tamburellare sulle sopracciglia i polpastrelli di entrambe le mani.
Era sopravvissuta davvero?
Come poteva essere ancora viva se solo pochi istanti prima aveva avvertito nettamente la luce dei fari accecarla persino attraverso gli strati di pelle che si era messa davanti?
Ma non aveva sentito lo scontro fisico e, probabilmente, non lo aveva fatto perché non era mai avvenuto.
Perché lei si trovava in mezzo a una strada, era vero, ma su essa non transitavano più bici bensì cavalli, e non c’era nessuna macchina volante a camminare per il cielo, solo piccioni che depositavano i propri escrementi a terra, dall’alto, andandoli a mescolare con il fango che si trovava a terra e la frutta rancida che era stata buttata là da qualche poveraccio che non poteva accontentarsi più dei suoi valori nutrizionali.
Lo sguardo della ragazza riprese possesso dell’ambiente circostante, dopo che le mani si furono tolte dal suo volto e le sue palpebre avevano di nuovo aperto quella finestra sul mondo.
Solo allora, solo quando le iridi chiare si infransero nel grigiore romantico, fu evidente il fatto che quello non fosse più il suo tempo.
Aster cercò ripetutamente il proprio ipersmartphone nelle tasche, non riuscendo a trovare neanche le tasche dei propri pantaloni lunghi, e scoprendo con orrore che essi erano stati sostituiti da un’ampia gonna in canapa e cotone.
Cotone e canapa, stessi materiali incolore che ricoprivano il suo busto e le sue braccia, in un improbabile abbigliamento tardo medievale che si accorse, appena pochi secondi dopo, prudesse terribilmente. La canapa riusciva ad irritare la pelle delle sue cosce e degli avambracci quasi quanto la fasciatura riusciva a sfregarle il seno e uno strano pannolone il pube.
Dove si trovava non ne era certa, ma sicuramente non dove si sarebbe dovuta trovare.
La sua mente l’aveva trasportata nel tempo tante di quelle volte che ormai ne aveva perso il conto, ma esse erano sempre state pilotate tramite i tecnologici strumenti di controllo del pensiero che si trovavano allocati nella sua agenzia di viaggio di fiducia.
Ma lei, quel sabato, non aveva mai raggiunto la sede della BlackTravell, non si era mai stesa nel lettino dalle candide lenzuola né aveva salutato e concordato i termini con SV98, il suo agente preferito, con i suoi strani e giganti occhiali sempre a coprire gli occhi neri da cyborg.
«Ci muoviamo? Piccola ingrata non ti ho pagata 5 merdose mucche perché tu non cammini!» la brusca voce di un uomo sulla quarantina riscosse la ragazza dalle proprie elucubrazioni, costringendola a voltarsi e osservare colui che la guardava dall’alto in basso.
Assomigliava dannatamente proprio a SV98, con la differenza che i suoi occhi non erano neri, o almeno non lo erano totalmente, e che la sua pancia sembrava essersi quadruplicata, cosa alquanto impossibile, dato che era un frutto della modernità, ed essendo una macchina non poteva certo metter su peso o invecchiare.
Quell’uomo aveva invece una serie deformante e floscia di pieghe a rendere il suo collo simile a quello di un cane di media taglia, già avanti con gli anni e prossimo all’abbattimento.
Lo sguardo di Aster333 doveva essere stato abbastanza eloquente da esprimere il suo straniamento e la propria crisi esistenziale, perché il piccolo buddah, drappeggiato con un antiquato completo di velluto blu e rosso, decise di issarsi nella propria scarsa statura in piedi, facendo quasi sollevare di sollievo la parte di carrozza all’aperto dove si trovava seduto.
Gli occhi scuri come la notte dell’uomo si posarono sulla giovane, squadrandola da capo a piedi, prima che egli si decidesse a sollevare la mano destra, stretta attorno alla frusta per i cavalli fregata dalle mani del cocchiere pochi secondi prima, per far vibrare l’arma in aria concludendo con uno schiocco a terra che mancò la ragazza di appena pochi centimetri.
«Sei la mia schiava, ora! E se il tuo nome era Gertrud adesso è Puttana, e se il tuo sogno era il matrimonio adesso è andare a comprare quelle dannatissime mele per la mia signora. Sono stato chiaro?!»
La voce baritonale tuonò in mezzo alla strada, e nonostante si aspettasse che qualcuno voltasse lo sguardo verso di loro, nonostante credesse che un qualcuno almeno delle forze dell’ordine giungesse a darle una mano, nessuno mosse un solo dito per aiutarla, al contrario tutti continuarono la propria attività, persino un ladruncolo di strada ne approfittò per rubare una forma di formaggio dal cestello di vimini di una contadina intenta a guadagnare qualcosa dal proprio raccolto, scambiando del frumento con delle uova e della carne.
“Gertrud”? Lo sguardo fino a quel momento solo confuso della giovane donna si trasformò in allarmato, e nell’aprir bocca per poter rispondere per le rime a quell’uomo ignorante e volgare ella si ritrovò invece a gemere, avvertendo troppo tardi la sua mano impattare contro la propria guancia, con così tanta forza da farla barcollare all’indietro.
Doveva essere sceso dalla sua posizione di rilievo sul calesse quando si era distratta ad osservare il punto dove la frusta aveva colpito terra, e in quel momento si trovava così vicino a lei da permetterle di notare la differenza di odore che c’era fra l’olezzo che li circondava e il nauseante e dolciastro profumo in cui doveva essersi immerso prima di uscire di casa.
«Quando ti do un ordine devi rispondere “Sì, sua signoria. Con piacere, sua signoria”» Grugnì così vicino al suo viso da darle la nausea, puntando quei pozzi di petrolio nei suoi occhi chiari e premendole le grasse e tozze dita attorno alla gola, per non permetterle la fuga.
«Ripeti con me, Puttana : “Sì, sua signoria, verrò nella sua camera stanotte a mostrare il mio pentimento. Con piacere, sua signoria”. Avanti, Puttana, dillo!» gridò contro la sua faccia, sputandole contro le labbra e stringendo maggiormente la presa contro le sue vie respiratorie, costringendola a rantolare per cercare ancora l’aria necessaria a respirare.
Continua…
Francesca Bonelli