Camillo Bartolini, Secondo Pilato

Nel Vangelo di Matteo, che Pier Paolo Pasolini giudicava “il più rivoluzionario perché il più realista”, si legge: “Gesù fu condotto alla presenza del governatore, il quale lo interrogò: “Sei tu il re dei Giudei?”. E Gesù: “Tu lo dici!”. E mentre i sommi sacerdoti e gli anziani lo accusavano, egli non rispondeva nulla. Allora dice a lui Pilato: “Non senti quante cose attestano contro di te?”. Ma non rispose neppure una parola, con grande meraviglia del governatore”. Per la maggior parte delle persone quello di Pilato è soltanto il nome del governatore della Giudea che mandò a morte Gesù.

Per poche altre, che oltre ai Vangeli hanno letto qualche passo di Flavio Giuseppe e di Tacito – o di Filone d’Alessandria – tale nome evoca anche con maggior ricchezza episodi di vita e fatti storici. In un caso come nell’altro, però, il Pilato col quale si ha a che fare, è il Pilato pubblico, è il ligio funzionario romano, membro dell’ordine equestre, che per un decennio, lui che era nato nel Sannio, fu chiamato a governare la Giudea dal 26 al 36 d.C., cosa che fece con intransigenza e con durezza. Ma il Pilato privato? Il Pilato uomo? Quali furono le sue ambizioni e quali le sue delusioni? Quali i suoi affetti più cari e quali i suoi tormenti interiori? E prima di venire – e per sempre – associato al processo a Gesù, come e con chi aveva trascorso i suoi giorni di vita? Alcune risposte a tali interrogativi è ora possibili rinvenirle nel libro del giovane studioso senese Camillo Bartolini, intitolato “Secondo Polato”. Si tratta di un romanzo storico dove l’invenzione artistica non fa violenza alle fonti storiche, bensì da esse scaturisce e da esse pare trarre forza. Il risultato finale è un libro godibilissimo per il lettore e utile per una migliore conoscenza di quella che, altrimenti, rischierebbe di rimanere un’ombra, o poco più, nella storia degli uomini. Il passo che segue è tratto dall’inizio del romanzo.    

“Nel Sannio tutto è roccia. L’accento che mal si accorda con la lingua dei conquistatori, le case, i sentieri, le fonti.Ma anche i lineamenti della gente e i loro pensieri. Una roccia scabra, massiccia che ti protegge e ti respinge. Le colonie e i paesi hanno fatto la loro fatica a trovarvi spazio e così i loro abitanti che si sono scorticati, e logorati, per farsi accogliere da questa terra. Ma ne hanno tratto gentilezza e protezione. Quelle rocce sono sedimentarie e, come tali, provengono da chissà dove, ognuna ha la sua propria storia da raccontare. In quelle montagne vi sono migrate, perciò sanno ascoltare i viandanti e chi decide di trascorrere un po’ della sua vita da quelle parti. In fondo, la montagna, che pare diffidente, ha solo bisogno del suo tempo per concedersi. Della stessa roccia granitica sembrava fosse fatto un ragazzo che stava in disparte a rimirare la grande montagna. “Chissà perché lo chiamano Fiscellus, l’ombelico”, pensò, senza distogliere gli occhi dalle cime che, da quel versante, si presentavano come un doppio corno. L’avevano da sempre educato a pensare che il vero ombelico del mondo si trovasse qualche centinaio di miglia più a occidente. Doveva esserci qualcuno dalle sue parti che, evidentemente, non era troppo d’accordo”.

 

Camillo Bartolini, Secondo Pilato, Cantagalli, Siena 2023

a cura di Francesco Ricci

Francesco Laezza

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