Chi non ha mai avuto delle idee o fantasie un po’ “più spinte” in ambito sessuale? Dalla mia esperienza clinica di psicologo e sessuologo, non ho dubbi sulla risposta: ben pochi! La maggior parte delle volte queste però rimangono tali, cioè fantasie, talvolta invece se ne parla con gli amici, con il partner oppure, nel reciproco rispetto, si prova a metterle in atto. Fin qui tutto ok. A volte però capita che queste idee si facciano insistenti fino a trasformarsi in vere e proprie ossessioni, oppure a diventare l’unico modo di godere della sessualità. Dove si situa il confine tra fantasia e patologia? Quando si parla di perversioni o deviazioni sessuali in campo clinico è più corretto definirle parafilie.
Queste, seppure in continua evoluzione, per essere tali, quindi espressione di patologia, devono soddisfare alcune condizioni: ad esempio, chi sperimenta questi desideri deve viverli con particolare angoscia, non derivante semplicemente dalla disapprovazione sociale; devono riguardare supplizio, ferite o addirittura la morte di un’altra persona; devono coinvolgere persone non consenzienti, non in grado di dare il loro consenso o coinvolte a loro insaputa.
Spesso queste rappresentano l’unico modo per eccitarsi e possono portare a una compromissione sociale, come la perdita del lavoro, l’isolamento sociale, problemi legali ecc… La possibilità di provare curiosità, desideri o comportamenti simili, oppure il caso in cui una coppia decida consensualmente di mettere in pratica alcune loro fantasie, non significa necessariamente essere malati. In altre parole, come suggerito dall’ultima edizione, cioè la V, del DSM, il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, considerato da molti la Bibbia della psichiatria, “molte persone con desideri sessuali atipici non hanno un disturbo mentale”. Le ipotesi relative alle cause sono abbastanza oscure, sebbene da taluni viene sostenuto che coinvolgano quasi sempre condizionamenti, situazioni o traumi relativi all’infanzia. Va segnalato che molto raramente questi individui si rivolgono a psicoterapeuti, sessuologi o medici se non spinti da partner o circostanze esterne, come per esempio una sentenza del tribunale. In questi casi, esistono comunque efficaci percorsi psicoterapeutici che producono ottimi risultati, anche in tempi brevi. Da un punto di vista clinico, esiste una lista di perversioni “ufficiali”?
Attualmente la lettura scientifica considera tra le più rilevanti, il disturbo esibizionistico (eccitamento sessuale nell’esposizione dei propri genitali a un estraneo che non se l’aspetta), il disturbo feticistico (uso di oggetti inanimati che diventano oggetti di venerazione come i feticci, cioè scarpe, intimo ecc…), il disturbo frotteuristico (toccare e strofinarsi contro una persona non consenziente), il disturbo pedofilico (attività sessuale, giustamente considerata reato dallo Stato, con uno o più bambini prepuberi, generalmente di 13 anni o più piccoli; il soggetto deve avere almeno 16 anni ed essere di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini con cui ha attività sessuali; non viene incluso il soggetto tardo- adolescente coinvolto in una relazione sessuale perdurante con un soggetto di 12-13 anni), il disturbo da masochismo sessuale (atto reale, non simulato, di essere umiliati, picchiati, legati o fatti soffrire in qualche altro modo), il disturbo da sadismo sessuale (azioni reali, non simulate, in cui la sofferenza psicologica o fisica, inclusa l’umiliazione, della vittima è sessualmente eccitante per il soggetto), il disturbo da travestitismo (il travestimento di una persona con i panni dell’altro sesso che provoca al contempo eccitazione sessuale e notevole disagio), il disturbo vouyeristico (atto di osservare un soggetto che non se lo aspetta mentre è nudo, si spoglia, o è impegnato in attività sessuali). Tra le pratiche considerate minori
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troviamo lazoofilia (pratica sessuale con animali), la coprofilia (piacere ottenuto dal contatto con escrementi), la necrofilia (piacere ricavato da atti sessuali con cadaveri), la scatologia telefonica (piacere ottenuto esclusivamente effettuando telefonate oscene), parzialismo (trarre eccitazione in via esclusiva da una parte del corpo), clismafilia (uso di clisteri per trarre eccitazione sessuale) ecc… Negli ultimi anni inoltre, vuoi per risonanza mediatica, o per una maggiore inibizione al trattare certi argomenti, particolare interesse è stato rivolto al così detto BDSM. Di che cosa si tratta? Il termine BDSM è un termine ombrello che racchiude una modalità relazionale ed un insieme di pratiche. E’ un acronimo. L’insieme di questi termini indica un complesso di pratiche relazionali e/o erotiche e/o preferenze sessuali. Queste pratiche, che considerate al di fuori di un contesto consensuale sono generalmente considerate spiacevoli e indesiderabili, sono nel BDSM fonte di soddisfazione reciproca, e strumento di costruzione di un rapporto interpersonale. Pratiche alternative, che sfiorano la soglia del dolore e a volte la superano, che spolpano fino all’osso la fantasia, che stroncano sul nascere la routine; il BDSM annovera soprattutto oggetti e strumenti per essere praticato (…venduti a caro prezzo!), che fanno diventare il corpo un tutt’uno con fruste, corde, tutine, ferraglia e quant’altro. Tutto questo, può o non può armoniosamente integrarsi all’interno di un rapporto di coppia? Se c’è sicurezza, reciproco consenso, flessibilità e soddisfazione, nulla vieta a due partner adulti e maturi, nel rispetto di se stessi, dell’altro e della legge, di poter sperimentare il proprio piacere senza inibizioni, esplorando le rispettive fantasie. Trasgredire può significare semplicemente esprimere al meglio i propri desideri erotici. Purtroppo, la maggior parte delle persone sembra aver paura di comunicare i propri desideri sessuali al partner, alimentando quindi una non-comunicazione che può rivelarsi pericolosa e improduttiva per la coppia. Impariamo a raccontare al partner senza tabù ciò che più alimenta la nostra immaginazione. Concediamoci la possibilità di chiedere al partner, senza vergogna e imbarazzo, in modo che l’esperienza trasgressiva non solo possa essere vissuta all’interno della coppia, evitando certe pericolose risoluzioni vissute inevitabilmente fuori dalla coppia stessa. Due partner è bene che siano complici, non concorrent!
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo e Sessuologo – Dottore di Ricerca in Psicologia