Chi ha paura del terrorismo

Se la scorsa settimana abbiamo parlato d’amore, in questa puntata affronteremo un tema che sta agli antipodi: l’odio religioso, e di qui il terrorismo. Un argomento molto delicato negli ultimi anni e reso ancor più complicato da trattare dal recentissimo attentato di Parigi. Tuttavia cercherò di non farmi spaventare dalla difficoltà del compito e vi farò partecipi del mio pensiero.
La prima parola che mi viene in mente è sdegno. Che sia un abominio sparge il sangue d’innocenti, siamo tutti d’accordo. Ma farlo in nome di Dio penso che sia la più grande bestemmia che si possa proferire. Ed essere convinti che si possa rendere gloria alla divinità annichilendo le sue creature non è umano.
Poi è l’incredulità che m’invade. Come si può arrivare a pianificare e compiere un atto di terrorismo suicida. Farsi saltare in aria per uccidere il più grande numero possibile di persone e diffondere il terrore tra il resto della popolazione. Non c’è niente di più incomprensibile. Sprecare il dono più bello che possediamo,per toglierla agli altri. Per chi s’impegna per afferrare ogni istante per poterlo vivere, questa è un’offesa imperdonabile.
Quando scopri che gli attentatori sono nati e cresciuti in Europa, arriva la delusione. Delusione per aver ospitato le loro famiglie, che scappavano da quei mondi arretrati e desolanti nei quali ci vogliono precipitare, per aver cercato di farli integrare e farli sentire come a casa, per avergli dato opportunità che abbiamo tolto a noi stessi.
Infine lo sconcerto di sapere che paesi dell’Occidente acquistano il petrolio dal Daesh, finanziando i terroristi, e forniscono gli armamenti che rendono possibili gli attentati, lucrando sulla morte dei loro compatrioti. Ed hanno pure il coraggio di piangere sulle loro bare.
Paura… No, quella parola non la pronuncio. Non ho la minima intenzione di averne per quattro tizi con le barbe lunghe e pulciose, un fazzoletto in testa e che vogliono riportare il mondo al Medioevo a suon di attentati. Sarebbe come arrendersi e consegnarli la medaglia d’oro. No, non riuscirete a vincere la nostra voglia di libertà. La mia, non di certo. Non ci riesce una malattia incurabile…

Lorenzo Santoni

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La voglia di libertà Lorenzo non se la fa rubare dalla distrofia muscolare di Duchenne. Fa progetti, studia, fa il lavoro che ama, esce con gli amici anche se c’è qualche scalino che a volte assume i contorni di una montagna insormontabile, anche se c’è sempre qualche cretino che sente il bisogno di parcheggiare l’auto sul marciapiede.
La voglia di vivere, Lorenzo non se la fa fregare da una malattia spietata. Vogliamo farcela togliere tutti noi da qualche folle?
Io lo ricordo quell’11 settembre 2001 che, per la mia generazione, ha sancito l’entrata del terrorismo nella nostra vita. Avevo 15 anni. Nessuno ebbe l’immediata reale percezione che il mondo era cambiato. Da allora abbiamo passato gli ultimi anni a stabilire quali fossero le cose rischiose da non fare, i luoghi da non visitare, quali mezzi di trasporto evitare. E poi l’episodio più recente: gli attentati di Parigi, per ricordarci che nessun posto è sicuro. Ma se non siamo al sicuro neanche nella nostra quotidianità allora tanto vale vivere con spensieratezza. Che non significa andare a cercare i pericoli, ma significa semplicemente vivere. Essere più fatalisti. Come diceva Marcello Marchesi: “la morte ci deve trovare vivi”. Se ci devono sorprendere questi messaggeri di terrore che lo facciano non mentre tentiamo di proteggerci chiusi in casa, accecati di rabbia, ma che lo facciano mentre stiamo ballando scatenati ad un concerto rock, mentre siamo allo stadio con la famiglia, mentre stiamo facendo un viaggio in posti meravigliosi e lontani. Che il nostro nemico si chiami Isis o distrofia muscolare di Duchenne, facciamo in modo che ci scopra non pieni di collera o paura, ma pieni di vita.

Selene Bisi