“I problemi sul tavolo sono tanti e noti, a partire dalla sensazione di una costruzione aziendale ancora incompiuta e fossilizzata su modelli pre-2016, con approcci spesso di campanile. E’ tuttavia necessario guardare all’appropriatezza organizzativa e agli investimenti, che unitamente alla valorizzazione del merito degli operatori, sono chiave di volta per garantire la sostenibilità del sistema. Questa si lega strettamente al disagio lavorativo che caratterizza la nostra Azienda e che si traduce in fughe di professionisti verso altre aziende o verso il privato, ovvero in scarsa attrattività professionale. E senza personale sanitario non c’è cura”.
A lanciare nuovamente l’allarme è l’associazione sindacale dei medici, che nell’accogliere i nuovi dirigenti dell’Asl Toscana Sud Est evidenziano i paradossi dell’Area vasta, dove i professionisti del Ssn non sono valorizzati a dovere: “Troppe convenzioni con il privato, la sanità pubblica merita spazio e va difesa”.
“La scelta compiuta dal Dg Torre di associare al proprio mandato dirigenti con percorsi costruiti “a chilometro 0” sottolinea la capacità dell’Azienda di generare e riconoscere competenze e spinge a sperare in approcci innovativi, visto che per entrambe questo incarico rappresenta una sfida affatto nuova.
In questo senso, corre l’obbligo di affrontare un elemento che a nostro giudizio amplifica le criticità lavorative, soprattutto nelle sedi disagiate (ben 8 su 13 ospedali in TSE). C’è stata finora una distopia ideologica per cui da un lato si difende il sistema sanitario pubblico e universalistico e dall’altro lo si sostituisce con il privato accreditato. Il fine sarebbe quello di garantire servizi ai cittadini, peccato che tale uso sostitutivo della sanità privata riguardi prevalentemente prestazioni in elezione (chirurgia programmata, ambulatori, eccetera), lasciando all’interno del sistema pubblico il lavoro disagiato (sedi oggetto di pendolarismo lavorativo, turni di guardia notturna e festiva ovvero ad elevato rischio professionale). La spesa in privato accreditato dentro la nostra Azienda è passata dal 2019, anno di riferimento in quanto pre-pandemico, al 2023 da circa 16 milioni di euro a 18 milioni in attività ambulatoriali specialistiche (+9%) e da circa 54 milioni a 65 milioni per prestazioni chirurgiche (+20%), solo per citare i capitoli di spesa che più ci interessano. Tale attività venduta ai privati è quella che molto spesso i professionisti vorrebbero svolgere perché professionalmente stimolante, compatibile con un equilibrato rapporto tra lavoro e vita privata, certo non lavoro notturno spesso in sedi con casistica e strumentazioni che, soprattutto nei più giovani, non determinano quel training adeguato che innesca la crescita professionale per gli operatori e sicurezza delle cure per i cittadini. Se a questo si aggiunge che in moltissimi casi, date le contingenze economiche, la sanità privata offre tecnologie e logistica allo stato dell’arte, laddove il risparmio nel pubblico corrisponde a lavoro in condizioni di risorse logistiche e umane insufficienti, il quadro del disagio e la direzione verso cui si volge lo sguardo di molti appare evidente.
Non demonizziamo la sanità privata, sede di competenze e servizi spesso di altissimo profilo, ma nel suo “convenzionarsi” con quella pubblica ne richiamiamo la sua funzione di supporto, in caso diverso trattandosi di subdola di privatizzazione. E se di supporto si deve parlare, non si comprende quale sia la base razionale che informa il quadro fin qui proposto dalla Regione, riverberato nelle Aziende, che finisce con mantenere nella sanità pubblica lavoro “disagiato”, incrinandone l’attrattività. Il che, in tempi di scarsa disponibilità di specialisti sul mercato del lavoro, significa per i cittadini vedere a rischio i servizi laddove non c’è di fatto la capacità del sistema di reclutare personale e l’unica possibilità continua ad essere quella di utilizzare i professionisti come birilli e spesso costringendoli a fare solo il lavoro “sporco”.
Rompere questo tabù offrirebbe ai professionisti che ancora credono nel Sistema Sanitario la qualità lavorativa necessaria per rispondere alla domanda di salute dei cittadini, oltre a rispristinare quell’attrattività ormai ammaccata da anni di tagli, iperburocratizzazione e inappropriatezza”.
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