Vincono una borsa per studiare a Siena ma sono bloccate a Gaza: il sogno sospeso di tre giovani palestinesi

Il futuro di Zaina e delle gemelle Saad e Majid è in bilico: le tre giovani palestinesi si sono aggiudicate una borsa di studio per seguire i corsi dell’Università di Siena, ma sono bloccate da mesi nella striscia di Gaza. Le ragazze, invece di inseguire un sogno, vivono ancora il dramma del conflitto.

“Purtroppo, finora non siamo riusciti a sbloccare la loro situazione perché non riescono a ottenere il visto”: a raccontare la vicenda è Federico Lenzerini, docente dell’ateneo e delegato del rettore per gli studenti e per i ricercatori provenienti da aree di crisi.

Professore cosa è accaduto?

“La scorsa estate siamo riusciti a bandire dieci borse di studio per studenti provenienti da aree di crisi, grazie anche al generosissimo contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Cinque di queste borse sono state destinate all’area di Gaza. A ottobre abbiamo stilato la graduatoria. E solo per le borse riservate a questa area abbiamo ricevuto 1100 domande: la selezione è stata quindi estremamente dura. Una volta individuati i vincitori, sono iniziate le procedure per portarli alla nostra università. Tra loro ci sono anche le tre ragazze di cui abbiamo recentemente avuto notizia. La situazione è paradossale: hanno provato sia con il consolato italiano al Cairo, che non ha risposto, sia con quello generale a Gerusalemme, il quale ha dichiarato che è indispensabile raccogliere i dati biometrici. Ma, considerata la situazione, si tratta di una richiesta impossibile: le ragazze dovrebbero recarsi fisicamente a Gerusalemme, cosa che, ovviamente, non possono fare”.

All’ateneo come vi siete mossi per affrontare questa situazione?

“Abbiamo cercato l’aiuto di chi può effettivamente contribuire a sbloccarla. Oltre ai contatti locali, abbiamo avviato iniziative nostre. In primo luogo, abbiamo scritto al console generale di Gerusalemme per sensibilizzarlo, ma finora non abbiamo ricevuto risposta. Ho poi provato a contattare una parlamentare che fa parte del Comitato permanente per i diritti umani nel mondo. Se riuscisse a portare la questione all’attenzione del comitato, potrebbe avere una risonanza nazionale, influenzando anche l’operato dei consolati. Naturalmente, come università abbiamo risorse limitate e non possiamo interferire più di tanto nel lavoro di questi uffici. Quando proviamo a contattarli, ci viene detto che la persona interessata deve fissare l’appuntamento in autonomia. Il problema è che spesso non riescono nemmeno a ottenerne uno. Vorrei sottolineare che qui non si tratta solo di garantire il diritto allo studio — che già sarebbe sufficiente per occuparsene seriamente — ma, nel caso delle persone provenienti da Gaza, si tratta davvero di salvar loro la vita”.

Le ragazze vi hanno detto quali sono le loro condizioni di vita?

“Siamo costantemente in contatto con gli studenti a cui abbiamo assegnato le borse, e ci implorano continuamente di fare qualcosa per portarli qui. La situazione è grave. Il caso di queste tre ragazze, fortunatamente potrebbe ottenere maggiore visibilità e speriamo anche una soluzione positiva. Ma rappresenta solo la punta dell’iceberg. Ogni giorno riceviamo richieste da tante persone  in condizioni disperate, e purtroppo dobbiamo fare i conti con l’impotenza di non poterli aiutare tutti. Non per mancanza di volontà, ma per limiti oggettivi. Viviamo costantemente nella frustrazione. Insieme al magnifico Rettore, siamo convinti che anche riuscire a portare in salvo una sola persona renda tutto il nostro lavoro più che ripagato. Riceviamo mail con foto di case distrutte, arti amputati, persone che hanno perso familiari. Non c’è bisogno che mi dilunghi: la situazione a Gaza la conosciamo tutti. Ed è proprio per questo che è ancora più frustrante: non si tratta solo di aiutare chi non ha accesso all’istruzione — che di per sé sarebbe già una causa nobile — ma di dare una possibilità concreta di salvezza, di vita e di futuro”.

Marco Crimi