Nell’articolo precedente ho affrontato il tema della genitorialità, del suo significato, della funzione paterna e materna che possa facilitare la crescita e lo sviluppo psicosociale del figlio; ma quali sono le situazioni che possono mettere a repentaglio tutto questo?
Se da parte delle figure di riferimento emergono atteggiamenti che feriscono profondamente l’autostima, disconoscono la soggettività delle relazioni emotive del bambino e ne giudicano negativamente alcuni bisogni, la valutazione interna dell’esperienza può essere distorta fino al completo offuscamento delle risorse interne.
Quando nell’ambiente familiare si ha incongruenza e mancanza di empatia, il vissuto prevalente del bambino sarà quello dell’isolamento e della solitudine, dove l’esperienza del vivere sarà un’esperienza priva di dialogo e di sostegno. Generalmente il genitore che ha difficoltà a sintonizzarsi sui bisogni del piccolo, è stato a sua volta un bambino che ha ricevuto messaggi di distanza o di accettazione parziale, condizionato dal giudizio delle figure di riferimento sui suoi comportamenti e modo di essere. Pertanto ha interiorizzato il giudizio esterno che distingue tra esperienze, sentimenti buoni e approvati e vissuti inaccettabili e cattivi.
Anche l’essere iperprotettivi, cioè non dare autonomia al figlio, può far sperimentare al bambino un vissuto di inadeguatezza e fragilità nel conoscere il mondo. L’autostima tenderà a vacillare perché condizionata dalla vicinanza/distanza della figura di riferimento.
La percezione del proprio valore sarà subordinata ai bisogni di controllo dei genitori o dell’adulto in generale. Risulta altrettanto controproducente un atteggiamento troppo permissivo da parte del padre o della madre perché il bambino ha bisogno di confrontarsi con un ruolo autorevole del genitore in grado di accompagnarlo nella crescita.
La funzione affettiva, relazionale ed educativa non può subire cambiamenti improvvisi, non ci può essere discontinuità e confusione; non si può concedere quello che domani sarà negato, né tantomeno inviare ai figli messaggi ambigui senza regole, quelle regole ritenute indispensabili per un bambino che deve conoscere ed esplorare il mondo interno ed esterno.
Molto spesso assistiamo a padre e madre che litigano o si incolpano reciprocamente di comportamenti non condivisi di fronte al bambino, ciò può creare paure, incertezze e talvolta veri e propri traumi perché nella realtà infantile è pressoché impossibile gestire situazioni di aggressività tra due persone che rappresentano il più importante punto di riferimento. Il pericolo maggiore è quello di creare triangolazioni sofferte che rischiano di degenerare in vere e proprie forme di disagio; soprattutto discussioni che vertono sull’educazione del figlio, in cui padre e madre si criticano reciprocamente e durante le quali il bambino può sperimentare sensi di colpa in quanto percepisce essere il centro della discussione.
Certo, esercitare la funzione genitoriale è un compito faticoso; i genitori e i figli sono diversi e con il passare del tempo e la crescita, occorre riuscire a mettersi in gioco verso un cambiamento continuo, alla ricerca di nuove modalità di rapportarsi ai figli, in base al carattere, al temperamento, alle abitudini e situazioni.
I genitori aiutano i figli a crescere, ma a loro volta i figli sono una preziosa occasione di cambiamento per i genitori, nel modo di vedere e considerare se stessi, la vita e le relazioni con gli altri.
Proprio grazie al gioco relazionale che i figli richiedono, l’essere genitori può diventare un impegnativo ma anche nutriente momento di crescita, dove gli errori, che fanno parte dell’intensità del coinvolgimento, possono essere utilizzati come occasioni di incontro e di scambio.
Questo modo di considerare la genitorialità non prevede l’essere un genitore perfetto, ma un genitore attento alle dinamiche relazionali, a rivedere i propri errori e le proprie mancanze nei momenti in cui il conflitto con il figlio li pone in primo piano.
È difficile comprendersi anche per la differenza di ruolo; il genitore si sente responsabile dei figli, che con la crescita chiedono sempre più autonomia, e vorrebbe indirizzarli per il meglio, ma talvolta ciò si traduce in imposizione, autoritarismo e produce solo conflitti.
Accorgersi, e quindi diventare consapevoli, delle proprie resistenze e rigidità è sicuramente il primo passo per iniziare un cambiamento importante.
Dott.ssa Monica Perozzi
medico chirurgo – psicoterapeuta