Fiction & Libri

Alice de Vicariis, Scene di vita fluttuante

“Scene di vita fluttuante”, la seconda raccolta di racconti della torinese Alice de Vicariis, è un libro che viene da lontano e che va lontano. Viene da lontano, perché da lontano viene il tema che è al centro dell’opera, e che il titolo già suggerisce, vale a dire il tema della metamorfosi. Questo, infatti, è ben presente sia all’interno della mitologia classica sia della letteratura fiabesca. La stessa parola metamorfosi, che ci arriva dal greco attraverso il latino, risulta già attestata sullo scorcio del XV secolo. “Scene di vita fluttuante”, però, è anche un libro che va lontano, se è vero che le conquiste delle biotecnologie e della robotica schiudono le porte alla macchinazione dell’umanità, che è anche una metamorfosi dell’umanità, almeno di quella che fino a oggi abbiamo pensato e descritto. La trasformazione della creatura umana in un’altra creatura – falena, lupo, medusa – nasce nel libro di Alice de Vicariis o dall’aspirazione a una condizione superiore (forza, salute, vita eterna), come nel racconto “Euridice all’alba”, o dal desiderio di conoscenza e dall’amore per la ricerca, come in “Urania” e nelle “Meduse”.  In un caso come nell’altro, però, ci troviamo in presenza di un’infrazione della Legge, di un superamento del limite, di un desiderio del totalmente nuovo: siamo, perciò, al cospetto di uno sconfinamento, di un trascendimento. Tale pathos del progresso – nel significato letterale ed etimologico della parola – rappresenta una costante, perlomeno a partire dalla modernità, dell’uomo occidentale. Lo sviluppo delle scienze e della tecnica hanno portato a compimento la coincidenza di volere e potere, mentre la globalizzazione ha esteso al mondo intero la teoria e la pratica della dismisura, complice il tramonto dell’etica fondata sull’idea del “giusto mezzo”.  Estremamente significativa, sotto questo aspetto, a me pare l’ambientazione dei cinque racconti che compongono “Scene di vita fluttuante”. Le vicende narrate, infatti, si svolgono in Argentina, in Italia e nell’Europa danubiana, in Cina, nell’arcipelago delle isole Ryukyu.

Uno spazio, dunque, estremamente vasto, assimilabile al mondo intero. E non è forse proprio la nostra età, la cosiddetta età della globalizzazione – che vede il trionfo del capitalismo liquido-finanziario, la deregolamentazione, la centralità della Rete –, l’età nella quale il concetto di frontiera è stato sottoposto e viene sottoposto a continui e violenti attacchi, miranti a delegittimarlo una volta per tutte? La metamorfosi, di conseguenza, in quanto processo che conduce da una forma all’altra, meglio, che implica il superamento di una forma per acquisirne un’altra, può essere allora interpretata come l’allegoria della nostra stessa epoca, la quale tende incessantemente – consumandosi e spesso consumandoci – a un “plus ultra”, che viene spostato di continuo in avanti, all’interno di un mondo unificato dalla tecnica e dall’economia di mercato. Perciò “Scene di vita fluttuante” a me pare, anche nelle sue pagine dove pure più forte e avvertibile è il gusto per il “meraviglioso” e il “fantastico”, fotografare e descrivere in maniera convincente l’esistente, la cui ideologia è perfettamente racchiusa in una battuta tratta dal racconto “Le meduse”: “Te l’ho detto, devi lasciare da parte questa tua morale: ti incatena, limita le tue possibilità, e noi donne abbiamo già abbastanza limitazioni”.  Vero è che all’interno dell’attuale contesto mondiale, dove le diversità sono tutte poste sullo stesso piano, mentre l’alterità è combattuta come eretica, dove per la prima volta la specie umana è chiamata a fare i conti con la possibilità di scomparire, dove l’area del possibile viene a coincidere con quella del pensabile – col conseguente eclissarsi del tabù  come indice simbolico –, è necessario individuare un punto di resistenza, uno jungeriano “passaggio al bosco”, un ancoraggio che sia anche una riproposizione-difesa della validità del limite, della soglia, del confine. Alice de Vicariis a me sembra che lo individui nel sentimento di responsabilità verso le generazioni future, nel prendersi cura, nel concreto, di chi verrà dopo di noi: nel sapersi ancora pensare, in sostanza, come padri e madri. Il passo che segue costituisce l’incipit del primo racconto, intitolato “Urania”         

“Ricardo Noher, noto entomologo argentino, nonché mio fratello maggiore, morì per cause misteriose nella sua casa di Buenos Aires. Ricevetti una telefonata che mi dava il triste annuncio mentre cercavo di scrivere il mio terzo romanzo: romanzo, ora lo so, che non terminerò mai. La sua ex moglie, Florencia, lo aveva abbandonato da tempo e viveva da solo: io ero il suo unico parente e perciò toccava a me occuparmi del funerale. Lasciai mia moglie e mia figlia a Ushuaia, dove abitavo ormai da diversi anni, e volai verso la capitale. Io e Ricardo non eravamo molto legati, ci sentivamo poco, essendo ognuno assorbito dalla propria professione; dalla morte dei nostri genitori in avanti i rapporti si erano diluiti, complice anche la lontananza. Lui aveva ereditato la casa, quella casa grande, con il cancello che scricchiolava e le stanze che quasi erano rimaste immutate dagli anni ’30, quando era stata costruita. Quando varcai la soglia rimasi impressionato dalla strana atmosfera che la pervadeva: pareva un mausoleo, come se nessuno vi abitasse, come se lui fosse morto molti anni prima. I mobili erano coperti con teli bianchi: la polvere aveva creato uno spesso strato sui lampadari, le porte e i pavimenti; grandi ragnatele si erano formate negli angoli. Solo tre stanze si trovavano in uno stato più dignitoso: la cucina, la camera da letto di Ricardo e il suo studio, stanze che, evidentemente, erano le uniche che utilizzasse”.

 

Alice de Vicariis, Scene di vita fluttuante, Castelvecchi, Roma 2024

a cura di Francesco Ricci

Francesco Laezza

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