La storia di una persona è sempre la storia di un’epoca. Forse è anche per questo che il racconto di una vita si converte, inevitabilmente, nel racconto di una società, di una mentalità, di una maniera di sentire e abitare il mondo. Non esiste uomo, infatti, non esiste donna, che non abbia radici e non possieda legami: radici che li ancorano a un determinato periodo storico, legami che li vincolano alla comunità dei viventi. Ogni biografia – si tratti di un saggio, si tratti di un romanzo – è, di conseguenza, sempre un fatto sociale, che di molti parla, che a molti si rivolge. È quanto ci conferma anche l’ultimo libro di Andrea Friscelli, “Ferite mai guarite”, edito da extempora. Al centro del lungo racconto c’è la figura del padre dello scrittore, Mario, studente del Liceo Classico “E.S. Piccolomini” prima, della facoltà di Farmacia (per un brevissimo periodo) e di Medicina e Chirurgia (dove si laurea a pieni voti nel 1935) poi.
Ma non è il processo di formazione, non è la professione del padre – tanto meno la vita familiare – che Andrea Friscelli vuole ripercorrere e illuminare, per ricavarne il senso o, almeno, per tracciarne la direzione. Ciò che sta a cuore allo scrittore, piuttosto, è indagare le ragioni che spinsero il genitore, appena diciannovenne, ad aderire al Partito Fascista, a entrare a far parte del Direttorio del Fascio di Siena, a scegliere, dopo l’8 settembre, la Repubblica di Salò. Non solo, ed è questa la parte, a mio avviso, più bella del libro, Andrea Friscelli si sofferma anche sulle conseguenze che tali scelte, una volta conclusa la guerra, comportarono per il padre.
Ad esempio, nel dodicesimo capitolo, intitolato “Epurazione”, sono riportate le accuse di cui Mario Friscelli dovette rispondere di fronte alla Commissione interna al Santa Maria della Scala, la quale deliberò per lui, in data 12 giugno 1945, la dispensa dal servizio (il licenziamento definitivo dall’amministrazione del Policlinico Universitario arrivò nell’agosto del 1948). Ma non sono tanto le conseguenze pratiche a interessare Andrea Friscelli, quanto le ferite interiori che la militanza politica, drammaticamente interrotta, e l’epurazione aprirono dentro di lui, riscrivendo il suo carattere e il suo comportamento, facendo scendere il silenzio su alcuni episodi del passato, mai più toccati nel corso della conversazione con familiari e conoscenti, e rendendolo guardingo nell’esprimere nel presente le sue opinioni. E a confronto con queste ferite spirituali, che si sommavano al dolore provato per la caduta di un regime nel quale aveva creduto, le ferite fisiche, come la frattura del femore riportata in guerra nel 1941, paiono sfumare e perdere importanza. Quella che segue è la parte iniziale dell’Introduzione, a cura dello stesso Friscelli. La Prefazione, invece, bellissima, è di Duccio Balestracci.
“La storia che vi apprestate a leggere trova il suo palcoscenico quasi per intero nella città di Siena (per questo il sottotitolo: una storia senese) ed ha la sua cornice temporale nel periodo che va dagli anni Venti a tutti i Quaranta dello scorso secolo, anni che coincidono con l’avvento del fascismo e con la sua drammatica parabola. È vero che gli ultimi capitoli si estendono fino agli inizi degli anni Ottanta, ma, come si capirà nel corso del racconto, solo perché gli ultimi accadimenti affondano profondamente le loro radici nel periodo sopra indicato. Potrei dire che il racconto ha almeno tre diversi livelli, come cerchi concentrici che si contengono. Il primo, il più esterno, figura come lo sfondo, il contesto storico della vicenda. Rappresenta la storia mondiale di quel periodo e non è certo mia intenzione approfondirla. Intanto perché largamente conosciuta e le mie parole non aggiungerebbero nulla, infatti molto si è già detto, ma è certo che vada considerata e tenuta a mente. La sua importanza è centrale perché finisce per condizionare fortemente. Come succede sempre, gli altri due livelli che gli stanno dentro. Il secondo riguarda Siena e quello che successe in quel breve periodo dell’inizio degli anni Quaranta che trasformarono, in pochi anni, una delle città più fasciste di Italia nella provincia più rossa. Quei pochi mesi in cui lotta partigiana, liberazione, epurazione, processi, vendette e cattiverie la segnarono pesantemente, senza poi, a mio parere, marcare, in realtà, una vera e propria discontinuità con il periodo precedente. Di questo clima farò solo qualche accenno con qualche spunto di approfondimento. E infine l’ultimo livello, quello che mi è interessato di più approfondire, consiste nella storia della mia famiglia”